domenica 28 febbraio 2016

I CARABINIERI E LA MAIALA



Facile arrestarla difficile rilasciarla
  La legge è uguale per tutti.

(Ma tutti non sono uguali di fronte alla legge). 
 (Dal libro: "Poi venne la fiumana" di Palmiro Capacci)

  

CUSERCOLI: il portone dell'ex Caserma dei Carabinieri luogo della storia sotto raccontata. 
Ora e sede della "BIBLIOTECA CHIUSA D'ERCOLE" in nome potrebbe dare adito a sbagliate interpretazioni


Fra gli animali domestici, fateci caso, c’è una netta predominanza femminile, i maschi sono molto meno numerosi e molto spesso sono evirati: - buoi, capponi, castrati (ovini). Molte mucche, pochissimi tori, molte pecore, pochissimi montoni, molte galline pochi galli e via elencando. Raggiunta una certa età, il maschio è mangiato o castrato per essere comunque mangiato dopo un periodo d’ingrasso (il bue da lavoro che invece era tenuto in vita per lavorare non esiste più), la femmina campa molto più a lungo perché è più utile per l’uomo, fa uova, o lana, o latte e soprattutto si riproduce, il maschio ormai fa solo carne. Certo per la riproduzione servono anche i maschi, ma per questa funzione ne bastano pochi, oggi con la fecondazione artificiale ancor meno.

A ben riflettere è molto chiaro il motivo perché in India, società contadina, la mucca è sacra e il maschio no, la mucca era troppo utile perciò era un peccato mangiarsela: lavorava nei campi, produceva latte e figliava; bisognava portarle rispetto, il maschio si poteva invece anche mangiare. Da noi la mucca non era sacra come in India tuttavia le si portava rispetto, il ragionamento e il meccanismo culturale era il medesimo sia pure in forma attenuata e non ideologizzata.

Per gli animali di piccola taglia si teneva qualche maschio, il gallo l’avevano tutti, il coniglio maschio in parecchi, il tacchino era invece raro, quando non si aveva il maschio si andava in prestito dal vicino, poi ogni tanto i maschi si scambiavano, perché pare che a cambiare partner di tanto in tanto certe funzioni connesse alla riproduzione riescano meglio.

Fu così che un giorno si presentò a casa nostra “La Sanpiréna (La Sanpierana), la nostra nuova vicina, che proveniva da una zona vicino a Bagno di Romagna, chiese a nostra madre: “Scusit, per piasè, a j’ha vit e plit par implità la plitta”. Nostra madre di rimando “Bèh! Se am gì chi clè e pli , us po’ ânca de ca l’epa” (Bèh! Se mi dite che cosa è il plit può anche darsi che l’abbia). Si scoprì che il plit era il tacchino, dalle sue parti lo chiamavano così, dalle nostre invece era chiamato “e birén”. Nostra madre l’aveva il plit e questi se ne partì con la vicina per andare a plittare la sua plitta.

Per gli animali più grossi mucche, cavalle, e talvolta anche scrofe si andava alla stazione di monta; a quei tempi la fecondazione artificiale non si usava, perlomeno dai contadini della collina, tutto avveniva come natura comanda (a parte la scelta dell’amante). La stazione più vicina a San Giovanni in Squarzarolo era a Cusercoli, precisamente all’ingresso del paese provenendo da Forlì, in un posto chiamato “Il Casino” (e Casén), non sappiamo se tale nome fosse casuale o derivato dall’attività che vi si svolgeva. In ogni caso avveniva il contrario rispetto ai casini umani, che peraltro furono chiusi in quegli anni, qui erano i maschi a prostituirsi e femmine le clienti paganti.

La posizione logistica del Casino era per noi tutt’altro che indifferente, perché per arrivarci occorreva per forza attraversare il ponte ed un pezzo di paese, ed in quei tempi gli animali, come del resto gran parte delle persone, andavano a fare l’amore a piedi, non col camion, poi a Fasfino il camion non riusciva ad arrivare. Per andare alla stazione di monta si faceva un percorso che evitava il più possibile l’abitato, ma il ponte e parte del viale “Andrea Costa” bisognava attraversarlo. Con le mucche era più facile, si tenevano per la cavezza, il traffico era scarso e a quei tempi non era eccezionale vedere vacche a passeggio nel paese.

Con le maiale era più difficile, mica le potevi portare al guinzaglio come un cagnolino, per fortuna le scrofe del tempo oltre ad essere più abituate a camminare, erano anche più addomesticate e davano retta ai comandi umani. Si partiva muniti di due strumenti: una bacchettina utile ad incitare l’animale a muoversi o a regolarne il percorso con sapienti bacchettate sul sedere, mai troppo frequenti o violente; l’altro consisteva in un barattolo di latta pieno a metà di favino, di cui i maiali sono particolarmente ghiotti, ci si posizionava davanti e lo si agitava. Il rumore provocato dalle fave secche unito al richiamo verbale. “ Vèn, Vèn bëla ninona, vèn”, Oikh!,Oikh!”, (Vieni, vieni, bella maialona, vieni) erano sufficienti a farsi seguire dal suino che seguiva il rumore e il richiamo verbale, perché si sa che i maiali sono piuttosto miopi e quindi fanno fatica a seguirti a vista.

Oltre ad evitare il più possibile il paese, si cercava di attraversarlo in fretta e in un orario in cui ci fosse poca gente in giro. La caserma dei Carabinieri a Cusercoli era in Via A. Costa e quella mattina pur essendo molto presto aveva il portone aperto. Paolina proveniva dal ponte col suo barattolo di favino, seguita dalla scrofa e a seguito chiusura un figlio armato di bacchettina; la bestia visto il portone aperto s’infilo dentro, e si trovò stretta nel corridoio senza riuscire a rigirarsi, comincio a strillare. Sopraggiunsero i carabinieri che riuscirono ad arrestare la scrofa; fecero tuttavia fatica a farla retrocedere perché i maiali sono incapaci di camminare all’indietro: dovettero trasportarla fuori di peso. La vicenda si conclude senza danni e con gran vergogna di Paolina. Non si venne a sapere in paese perché Paolina non la raccontò se non dopo anni e i carabinieri ringraziarono la sorte che a quell’ora non c’era ancora nessuno in giro.