lunedì 21 marzo 2016

STALIN II E IL GIOVANE MILITANTE





STALIN II e il giovane militante.

Frequentava abitualmente la Casa del Popolo e, specialmente quando aveva un po’ bevuto, praticamente sempre, dichiarava a gran voce che lui era Stalin Secondo. Non ne aveva per la verità il fisico del ruolo: era un anziano piccolo, magrissimo; i baffi li aveva, ma non erano dei baffoni come quelli di Josip Ziugasvili. Oltre ai baffi un po’ rossicci e un po’ grigi, aveva sempre la barba lunga un paio di millimetri, mai più lunga, mai rasata; come ciò potesse essere non era spiegabile, certo non era sua intenzione anticipare una moda che sarebbe venuta fuori solo dopo diversi anni.

Vestiva sempre con una giacca di panno piuttosto pesante, anche in piena estate, d’inverno aggiungeva una sciarpetta similseta al collo. In testa portava sempre il cappello a falde di feltro del tipo in uso ai romagnoli oltre mezzo secolo prima.

Tutti lo chiamavano Stalin tralasciando la numerazione, ben pochi ricordavano il nome vero. Naturalmente era iscritto al Partito, ma non veniva mai chiamato a svolgere una qualche attività, lo si lasciava parlare, ma nessuno lo prendeva sul serio, se c’era qualche estraneo in ascolto, ci si premuniva di prenderlo da parte per spiegargli che Stalin era un tipo certamente caratteristico, ma che era un buon uomo e soprattutto si precisava che assolutamente non rappresentava  l’opinione del Partito.

Arrivò il 1975, l’anno in cui avvenne il grande balzo in avanti del P.C.I. alle elezioni amministrative. Al lunedì sera, anche se lo spoglio delle schede non era terminato, si aveva già cognizione della grande vittoria elettorale. I seggi furono chiusi per essere riaperti l’indomani o per proseguire nelle operazioni di scrutinio. Nei militanti lo stato d'euforia era palpabile, “si tagliava a fette”. Dal “Nazionale” fu diramata una circolare riservata alle Federazioni, in cui si esprimeva preoccupazione per possibili provocazioni e colpi di mano dei fascisti contro i seggi elettorali. Il Partito andava mobilitato per sventare ogni tentativo reazionario contro la democrazia e la volontà popolare.

Va ricordato che nel clima di quegli anni, quest’ eventualità appariva tutt'altro che astratta, si era nel pieno della strategia della tensione, c’era stata Piazza Fontana, i fatti di Reggio Calabria e in tutti era vivo il ricordo del colpo di stato dell'11 settembre 1973 avvenuto in Cile. Fra i militanti era radicata la convinzione che il capitalismo fosse democratico finché le elezioni erano vinte da partiti che non mettevano in discussione il sistema e i comunisti di allora, nonostante la proposta del “Compromesso Storico”, mettevamo in discussione il “sistema”, volevano rivoluzionare la società seppur con metodo democratico e le lotte di massa. Forse, anzi certamente, non tutti gli iscritti avevano ancora una tale volontà rivoluzionaria, ma chi non metteva già più in discussione la società esistente e si sarebbe accontentare di migliorarla o perlomeno di viverci nei migliori dei modi, teneva ancora un profilo basso nell'attesa che arrivasse il loro tempo.

La Sezione locale del Partito si mobilitò immediatamente. Il Comitato di Sezione si convocò in una riunione informale: fu un incontro breve perché i compagni che erano stati nei seggi erano stanchi e poi non c’era bisogno di discutere le direttive del Nazionale, se erano state emesse avevano ragion d’essere ed andavano attuate, si doveva solo decidere come farlo. Si convenne di presidiare i nostri seggi dall’alto del tetto terrazzato della Casa del Popolo da cui si godeva un'ottima vista dell’ingresso della scuola in cui erano collocati. La riunione si tenne nel bar e i discorsi furono uditi da Stalin che prontamente si offrì come volontario; non gli si poteva dirgli di no, se non altro per motivi di cortesia, fu quindi preso nell’improvvisata squadra della vigilanza democratica. I compagni si lasciarono per tornare a casa per mangiare qualcosa, per informare la famiglia, per prendere su una maglia pesante. L’appuntamento per iniziare la guardia fu fissato a mezzanotte.

Anche Palmiro, il giovane segretario del locale circolo dei giovani comunisti, si presentò volontario. Avrebbe avuto tutti i motivi per essere esonerato in quanto dopo un paio di settimane avrebbe dovuto sostenere l’esame di maturità, fino a quel momento aveva partecipato fino allo spasimo alla campagna elettorale ed era decisamente in ritardo con lo studio, ma voleva esserci, pensò che l’interesse particolare non dovesse prevalere su quello generale. Nel momento del bisogno un comunista non si tira indietro: la storia bussava alle porte della nazione ed era questo che contava; si poteva cominciare a studiare il giorno successivo.

La madre del giovane segretario non fu troppo contenta di questa sua scelta, gli chiese se ci fosse proprio bisogno anche della sua partecipazione, ma si limitò alla raccomandazione di stare attento perché coi fascisti non si scherzava, lei lo sapeva bene avendoli combattuti trenta anni prima come partigiana nelle Brigate Garibaldi. Palmiro d’altronde non portava quel nome per caso.

Nonostante che i molti compagni impegnati nei seggi fossero esonerati dalla vigilanza perché la mattina dopo avrebbero dovuto essere ben svegli per non farsi “fregare” un solo voto e che altri la mattina successiva avrebbero dovuto recarsi al lavoro, a mezzanotte si trovarono in parecchi su quel tetto. Quasi tutti avrebbero fatto tutta una tirata: quando smontavano dalla vigilanza sarebbero andati direttamente al lavoro, gli altri sarebbero rimasti a supporto dei compagni impegnati nei seggi e verso sera era già nel conto che sarebbero tutti convenuti nella piazza di fronte alla Federazione del Partito per festeggiare. Con la fede e l’adrenalina che erano alle stelle il fisico avrebbe sicuramente retto.

All’appuntamento arrivò anche Stalin che aveva portato con sé un sacco di iuta, giunto sul terrazzo l'aprì e tirò fuori la doppietta da caccia con le relative munizioni a pallini grossi, come tenne a precisare. mentre si accingeva a caricare l’arma il segretario del Partito gli ordinò di riportarla subito a casa, al che lui sorpreso e irritato replicò: “Che facciamo a fare la guardia senza fucile? Se vengono i fascisti come li affrontiamo? Gli urliamo dietro... gli mandiamo dei "cancheri"... ?" Stalin II si allontanò con la sua doppietta mugugnando per non tornare più. Mentre si allontanava lo si udì brontolare che lui le cose le faceva seriamente o non le faceva affatto e che i comunisti ormai non avevano più la tempra di una volta: si stavano imbastardendo.

Le sue osservazioni diedero da pensare al giovane militante. Già se fossero arrivati i fascisti come li avrebbero affrontati? Probabilmente non avrebbero corso grossi rischi personali, essendosi barricati sul tetto della Casa del Popolo come antichi guerrieri appollaiati sugli spalti di una rocca, anche se gli eventuali squadristi dal basso avessero sparato, avrebbero potuto facilmente ripararsi abbassandosi dietro al cornicione del terrazzo. La posizione da un punto di vista tattico era ottima per la difesa e l’osservazione, ma assolutamente inutile per contrastare gli avversari. Non avrebbero potuto fare nulla, se non telefonare alla polizia, ma questo l’avrebbero potuto fare anche i militari a guardia dei seggi che peraltro erano dotati di fucili da guerra e quindi capaci di reagire efficacemente in proprio. L’unica cosa che in più avrebbero potuto fare era telefonare alla squadra del Partito che presidiava la Federazione, infatti, ci si premunì affinché il locale dove era il telefono non fosse chiuso a chiave dal barista.

Durante le lunghe ore di guardia Palmiro ci pensò su: forse questa volta Stalin non aveva detto una delle sue solite sciocchezze che tutti ascoltavano con bonaria commiserazione.

Verso mattina quando cominciò ad albeggiare e i compagni alla spicciolata cominciavano a lasciare la postazione, trovò la risposta: la mobilitazione non serviva tanto ad affrontare e respingere l’eventuale provocazione fascista, quanto a mantenere vigili e scattanti i militanti, insomma quella guardia al seggio era una utile ginnastica rivoluzionaria.

Il giovane assorto nei suoi pensieri guardava affascinato il sol dell’avvenire che sorgeva lento ed inarrestabile all’orizzonte a scacciare poco a poco le tenebre per risvegliare il mondo a nuova vita. Non distaccò mai lo sguardo da quella visione e non s’avvide che alle sue spalle, nella parte ancora oscura ed incognita del cielo, poco alla volta banali nuvole si addensavano, finché giorno dopo giorno avrebbero finito per oscurare le speranze di quell'alba.

Decenni dopo quei momenti esaltanti erano rimasti impressi nella mente e nello spirito dell’ormai non più giovane militante, spesso ci ripensava con nostalgia, mai con rimpianto, questo lo riservava tutto ai periodi successivi. Ripensava anche a Stalin II, a quella notte e a quell’alba limpida, gravida di promesse e speranze. Provava rammarico per le speranze andate deluse, ma ancor più per la solitudine di chi, nonostante tutto resisteva nel volerle coltivare. Anche Stalin con la sua "schioppa" era scomparso.ormai da tanto tempo. Il ricordo si tramutava in melanconica nostalgia, ma la vita continua e allora cacciava via tutti questi pensieri con una considerazione amena: "Forse bisognava fare più ginnastica."

Ricordo di Palmiro Capacci 


 Federazione Giovanile Comunista 1977
Mauro Cappelli e Palmiro Capacci

martedì 15 marzo 2016

LA FUGA IMPOSSIBILE


Frontiera Grecia - Macedonia oggi



La fuga impossibile (Settembre ’44)
(Tratto la libro " Poi venne la fiumana" di Palmiro Capacci) 

Era passata una staffetta partigiana ad avvisare i contadini, invitandoli a fuggire, a nascondersi, perché stava per iniziare un grosso rastrellamento e questa volta oltre ai fascisti c’erano anche i tedeschi, quelli più cattivi, le SS, che già si erano fatte una brutta fama. In quel periodo, Paolina era rimasta col nonno e con i tre figli Colomba (la Culomba) e Domenica (la Minghìna) di cinque e tre anni, infine Giovanni di pochi mesi mentre gli altri famigliari si erano già allontanati. Dove andare in quelle condizioni? Eppure il pericolo era grande. Vestì pesantemente le bambine, chissà dove avrebbero passato la notte? Prese il cambio per il piccino e qualcosa da mangiare, liberò le bestie per non farle trovare ai soldati che le avrebbero potuto rubare oppure anche bruciare vive se avessero incendiato la stalla con loro dentro, e si avviò scendendo lungo il fosso che scorreva in fondo al vallone in direzione di Ranchio (Rância), col piccolo in braccio e le bimbe aggrappate alla gonna. Colomba portava con sé sotto braccio un piccolo quadro con la foto del padre vestito da militare, finora dal vivo l’aveva visto poco, ma la mamma le aveva detto che l’uomo del ritratto era il suo babbo e che un giorno sarebbe tornato per rimanere con loro. Quel ritratto era molto importante per la bambina e quando, durante la fuga, nel guadare il Rio Tibina, le sfuggì di mano e cadde, andando irrimediabilmente perso, la bambina si disperò e cominciò a piangere.
Dopo un po’ di cammino apparve evidente che non si poteva andare oltre, il primo a cedere fu nonno Domenico che il quel periodo era di salute malferma, disse: “Paolina io non ce la faccio più, non riesco a proseguire, voi che fate?” Che fare? Le bimbe erano stanche, poi non sapevano dove fuggire ... tornarono sui loro passi, succedesse quel che doveva succedere, loro avevano fatto il possibile. Rientrarono a casa che era quasi sera, Paolina richiamò le bestie, ma una mucca non tornò, (scoprirono il giorno successivo che era stata dilaniata da una bomba di mortaio) cambiò e allattò Giovanni e fece da mangiare, il meglio che c’era perché del domani non vi era certezza: se doveva accadere qualcosa di brutto … che succedesse a pancia piena … infine si coricarono.
I nazifascisti non passarono quella volta dal Casetto, forse perché era fuori mano; l’essere nascosto ed isolato fu in quella circostanza una fortuna, anche perché come si seppe poi quello fu proprio un brutto rastrellamento, con molte case bruciate e molti fucilati.


Foto di profughi della II guerra mondiale, 
negli ovali Paolina e il marito Luisin al tempo della guerra.