lunedì 23 gennaio 2017

Quando ad emigrare furono i miei parenti



Le migrazioni di mio nonno e di mio cognato

(Dal libro “Poi venne la fiumana" di Palmiro capacci).








Oriando e Gagliardo


Dagli Appennini ai canguri

Mamma, mamma dammi cento lire,

che in America voglio andar …

Cento lire io te le do,

Ma in America no,no,no.

Galiardo Simoncelli detto Oriando


Erano cinque uomini in età da lavoro, più un garzone che non volevano mandare via perché sapevano che non avrebbe trovato un altro lavoro, troppi per il podere Belvedere (Bavdê), sito nella parrocchia di San Giovanni in Squarzarolo: lavoro sul posto in quegli anni non se ne trovava. Fu per questo motivo che Oriando (Gagliardo per l’anagrafe) pensò di emigrare e, visto che doveva partire, perché non fare le cose in grande, invece di andare a fare la campagna delle barbabietole in Francia, come fece poi suo fratello, o andare a chiudersi sotto terra in Belgio, optò per l’altra parte del mondo: l’Australia.

All’inizio degli anni Cinquanta Oriando aveva già passato i vent’anni, era alto, robusto insomma proprio gagliardo di fatto, oltre che di nome. Balzava subito all’occhio il grande contrasto fisico con la madre. Quando ho conosciuto La Rösina (o Rusina) all’inizio degli anni Sessanta, era già una nonnina, piccola, magra, un po’ ricurva dalla fatica, vestita perennemente di nero, col fazzoletto in testa che teneva annodato sulla nuca e le calze ripiegate sotto il ginocchio. Un soffio di vento sembrava potesse portarla via da un momento all’altro, eppure dimostrava un'energia inaspettata, era sempre in giro, non stava mai ferma, si aggregava per tutti i lavori del campo, i lavori domestici invece non l’appassionavano per niente, e quando non aveva altro da fare prendeva la falce ed andava per i fossi a “fare l’erba per i conigli”. La s'invitava ad una vita più tranquilla, ma niente, lei continuava come sempre, a chi le diceva: “Ma Rösina, puretta a lavorì tröp, arpunsiv un po’ ”, lei rispondeva “Eehh! Con tót quel cu j’è da fê” (Rosina, poveretta, riposatevi un po’- Eehh! Con tutto quel che c’è da fare). Ci si rivolgeva a lei sempre con il voi, figli e nuore compresi. Era discreta, silenziosa, sembrava sempre imbronciata, raramente sorrideva con un sorriso discreto, unico ed indimenticabile.

Negli anni Cinquanta molti romagnoli erano già emigrati, in genere verso l'Europa settentrionale, oppure erano stati in Africa. In America dalla Romagna non erano partiti in tanti e ancor meno erano tornati, ma attraverso la musica ed i suoi film, era nota a tutti, l’Australia nell’immaginario dei contadini era una terra lontana, posta dall’altra parte del mondo, era misteriosa: si diceva fosse abitata da strani animali. L’Australia non era solo terra d'immigrazione, era terra d’avventura.

L’Australia è un paese immenso, ricco di risorse e  poco abitato. ( ...)

Nel dopoguerra era in forte espansione economica, aveva in abbondanza ciò di cui in gran parte del mondo mancava, ma era carente di manodopera. La popolazione bianca era scarsa, quella indigena era stata in gran parte sterminata e relegata nei deserti o chiusa nelle riserve perché si era dimostrata poco disposta ad integrarsi nella società degli invasori nel ruolo di “uomini da fatica”.

L’Australia poteva facilmente aprirsi all’immigrazione dalla vicina e super popolata Asia, ma questo era appunto ciò che più temeva, e teme tuttora. I discendenti delle colonie penali di Sua Graziosa Maestà Britannica, erano un po' snob ed avevano la puzza sotto il naso circa i nuovi arrivati, preferivano persone di stirpe anglosassone o in ogni caso nordica, ma il flusso era insufficiente e dovettero ripiegare sui bianchi latini, che tuttavia nei primi tempi erano trattati con sufficienza se non discriminati. Negli anni Cinquanta tuttavia si era già ad un discreto livello d'integrazione, (meglio che in Svizzera o in Belgio) anche se ogni volta che un immigrato si presentava per un lavoro chiedevano sempre di che nazionalità fosse. Nel dopoguerra l’Australia tenne quindi aperte le porte all’immigrazione dall’Europa, ma in modo controllato, organizzato e selettivo, gli aspiranti dovevano dimostrare d'essere idonei moralmente e fisicamente e tali selezioni avvenivano in agenzie aperte nelle diverse nazioni.

Oriando si sottopose agli esami, prima a Cesena, poi a Trieste, allora ancora sotto il mandato amministrativo anglo-americano. Fu dichiarato idoneo.

Nel 1952 s'imbarcò da Venezia e dopo un viaggio durato oltre un mese arrivò nel nuovo continente. Lui e i suoi compagni di viaggio appena arrivati furono rinchiusi in un “Centro d'accoglienza” per immigrati, che poi non era altro che un ex campo di concentramento per prigionieri di guerra, e, per una periodo di diversi mesi, furono educati agli usi e costumi locali ed fu insegnata loro la lingua inglese. Terminato l’apprendistato, i nuovi immigrati furono spediti nelle varie regioni del continente dove erano richiesti lavoratori. Avevano un contratto stagionale, terminato il quale dovevano provvedere da soli a trovare un nuovo impiego.

Oriando fu spedito in una sperduta ed enorme fattoria, sistemato in una baracca di legno, isolato dal mondo, non avendo un mezzo di trasporto proprio. L’azienda però nel fine settimana faceva una “camionata” e portava i braccianti nel più vicino paese dove incontravano altri immigrati, facevano la spesa, spedivano la posta, andavano al cinema e “ bevevano una birra”: piccole e sobrie distrazioni, in quanto lo scopo era risparmiare per tornare a casa con un po’ di denaro.

Sopravvenne ben presto una delle ricorrenti crisi economiche ed Oriando come tanti altri rimase disoccupato e trovò solo qualche saltuario lavoretto sottopagato. Assieme ad altri immigrati italiani continuò a vivere nelle isolate baracche, conducendo tuttavia una vita ai limiti della fame, che combatterono praticando la caccia. L’attività venatoria non li fece morire di fame, ma rischiò di ucciderli per intossicazione come quella volta che cucinarono la selvaggina in un vecchio paiolo di rame e non ebbero l’accortezza di ripulirlo bene dal verderame. Pensarono che fosse giunta la loro ultima ora, ma sopravvissero. In quei momenti difficili si crearono amicizie fortissime, in particolare Oriando fece amicizia con un immigrato genovese di nome Greppi ed un’altro proveniente da Vittorio Veneto. Con loro una volta rientrati in Italia continuarono sempre a scriversi, a telefonarsi e di tanto in tanto a vedersi. Furono momenti difficili, molti immigrati decisero di rientrare in Italia, Oriando invece era fermamente intenzionato a non cedere. I suoi genitori venuti a conoscenza della situazione pensarono di farlo ritornare: il proprietario del podere in cui abitavano (Giannetto Palazzi), si era reso disponibile a concedere un prestito per pagargli il viaggio, ma poi arrivò una lettera dal figlio in cui annunciava di aver trovato un buon lavoro. Il peggio era passato. Il nuovo lavoro glielo aveva trovato  Greppi, si trattava di andare a lavorare in una piantagione d'asparagi, ma Oriando era impossibilitato ad andare perché il luogo era lontano e non aveva un mezzo per spostarsi. L’amico lo andò a prendere in bicicletta: fecero il lungo viaggio in due su un'unica bici, dandosi il cambio a pedalare, fu dura, ma arrivarono (Certo che il fatto di spostarsi in bicicletta nelle immense distanze dell’Australia appare un evento curioso).

Nel frattempo la crisi economica era passata. Dopo gli asparagi, senza più soluzione di continuità, trovò altri lavori: quasi sempre come bracciante agricolo, da tagliatore di canna da zucchero a boscaiolo, da ortolano ad allevatore, occasionalmente come cacciatore di  dingo e conigli selvatici, riceveva una ricompensa per ogni paia di orecchi degli animali che consegnava. Una volta trovò lavoro in una fattoria di proprietà di un immigrato dalla Calabria, vi si recò molto contento: pensò finalmente un italiano con cui capirsi meglio, invece il proprietario, nonostante fosse in Australia da molti anni, parlava solo uno stretto dialetto calabrese del tutto incomprensibile. Oriando pensò di aver raggiunto il colmo ed esclamò: ”Capirsi poco con gli “inglesi” è da mettere nel conto, ma non capirsi fra italiani non l’avrei mai immaginato”. Col nuovo padrone si comunicava tramite la figlia che parlava inglese ed un po’ di italiano.

Continuò a vivere nelle baracche disperse nelle enormi estensioni australiane, ma cominciò ad ambientarsi ed inserirsi nel nuovo paese.  Alla fine del 1957, dopo cinque anni, Oriando tornò a casa: forse sarebbe rimasto ancora un po’ di tempo, ma aveva saputo che il padre si era gravemente ammalato di un tumore al cervello. Arrivò che era inverno e dovette tornare a fare l’abitudine al freddo. Il suo ritorno a San Giovanni in Squarzarolo, ma anche a Cusercoli, era un evento atteso: pochi erano andati in una terra così lontana ed erano tornati. Non si sapeva tuttavia il giorno esatto in cui sarebbe arrivato, in quanto anche il viaggio di ritorno l’avrebbe fatto in nave e non si sapeva esattamente quanto sarebbe durato.

Arrivò con la corriera in paese e s'incamminò a piedi verso casa posta in alto, aggrappata in cima alla collina. Lungo la strada del ritorno passò davanti alla sede della Lega dei Contadini di San Giovanni, un piccolo fabbricato che fungeva da Circolo-Casa del Popolo, ancora in fase di costruzione alla sua partenza, probabilmente si sarà ricordato di rileggere il suo nome che aveva inciso a grandi lettere nell’architrave della porta d’ingresso il giorno precedente alla sua partenza per l’estero, annunciando ai compagni: “Domani parto per l’Australia, se un giorno potrò rileggere il mio nome qui inciso sarà un buon segno”. (Il circolo fu completato dopo la partenza di Oriando. All’inaugurazione, oltre al discorso del “compagno Marzocchi della Federazione”, parlò anche una bambina di Cusercoli: Germana Cimatti, che declamò i versi della poesia “Il Partito” di Majakovsckij. Oggi del circolo è rimasto solo il rudere, il tetto e parte dei muri sono crollati, ma non il muro con l’architrave in cui è inciso il nome, che è ancora là ben leggibile).

 Giunto quasi a destinazione incontrò per primo suo padre Davide Simoncelli (Dvidin), gli andò incontro, lo salutò, ma ebbe la tremenda sorpresa di non essere riconosciuto, il male aveva già pregiudicato il senno del genitore, che tuttavia visse altri tre anni.

( ...)
 Ruderi della casa del Popolo di San Giovanni in Squarzarolo, è ancora presente il nome di "Gagliardo" che scrisse il giorno prima di emigrare in Australia


Nonno “Muratti” va migrante  (Prima della Grande Guerra)


 Giovanni Laghi  con la moglie e la figlia maggiore - Predappio 1914 ca.

Nonno Muratti (Giovanni Laghi) fu un emigrante, andò in Svizzera, ma non vi trovò da fare del gran bene e tornò presto a casa.

Paolina raccontò che quando era ragazzo, cioè non maritato ed era come tanti altri senza stabile occupazione, animato da spirito d’avventura si unì ad un gruppo di disoccupati che partivano per la Svizzera in cerca di lavoro. Partirono alla ventura a piedi con un cambio di panni e un po' di cibo, avvolti in un fagotto (göppla) ed attrezzi da lavoro in spalla. Lungo la strada cercarono dei lavoretti da fare per sostenersi, piano, piano giunsero in Svizzera e trovarono lavoro in un grande cantiere dove c'erano tanti lavoratori svizzeri ed immigrati di diverse nazionalità. Gli immigrati dormivano in una baracca ad uso collettivo dove lasciavano le loro poche cose quando si recavano al lavoro.

Una sera al ritorno dal lavoro un operaio scoprì che gli avevano rubato la giacca che aveva lasciata appesa ad un chiodo, denunciò subito il fatto ed immediatamente diedero la colpa agli italiani. Qualcuno cominciò a rumoreggiare; accorse il capocantiere, naturalmente svizzero che si diede da fare per calmare gli animi ed escluse categoricamente che il ladro potesse essere un italiano. Non poteva esserlo perché sostenne che se fosse stato italiano si sarebbe fregato anche il chiodo, mentre invece tutti potevano costatare che il chiodo era ancora al suo posto.

Al nonno non piacque la Svizzera e nemmeno i suoi abitanti; … dopo poco tornò a casa.




lunedì 9 gennaio 2017

Lettera al mio "collega" omonimo Palmiro Cangini


QUANDO FUI CONFUSO CON L'ASSESSORE DI RONCOFRITTO.
Fra le "robe" che ho fatto c'è stato anche quella del l'assessore al Comune di Forlì, mi capitava talvolta di essere chiamato dai cittadini Palmiro Cangini, lo fece durante un dibattito in TV anche un assessore del Comune di Ravenna (non ho capito se si confuse veramente o lo fece apposta perchè era uno stronzo, si era in aperta polemica sulla politiche di gestione dei rifiuti.
Fino a pochi decenni fa il mio nome rimandava quasi sempre a Togliatti, i tempi sono cambiati.
Infine mi decisi di scrivere al mio (quasi) omonimo "collega" di Roncofritto la seguente lettera.

                                                                                   "All'Assessore alle Attività Varie ed eventuali
                                                                                                           Palmiro Cangini
                                                                                                        del Comune di Roncofritto
"Caro collega,
chi le scrive è il suo collega di Forlì: Palmiro Capacci.
Capita talvolta che il mio nome sia confuso col suo, ho appena risposto ad una lettera molto seria di un cittadino indirizzata alla Assessore all'Ambiente del Comune di Forlì Palmiro Cangini (tranquillo, ne sono certo, non ho aperto la sua posta).

Certo un po' di confusione è comprensibile, siamo entrambi assessori, ma come ho avuto modo di precisare al cittadino sopra menzionato in comune abbiamo la regione di appartenenza, anche se lei è della Romagna marittima ed io di quella montanara (da giovane ho fatto il cameriere stagionale in riviera e questo è stato sufficiente a rompermi per sempre i maroni per la " marina"), inoltre posso aggiungere che abbiamo in comune il nome e la pelata, anche se ho avuto spesso modo di sentirla ed apprezzarla, non saprei che altro.

I nostri assessorati ad esempio sono molto diversi, lei ha le "varie ed eventuali", io tutte le schifezze immaginabili: inquinamento, rifiuti, inceneritori, HERA, fogne, pozzi neri, l'incazzatura dei cittadini per il blocco del traffico, polveri sottili (quelle grosse no! Le chiamiamo ghiaia e le tratta il settore edilizia). Come vede sono tutte cose che fanno senso solo a nominarle, per cui abbiamo pensato bene di riunirle nell’"Assessorato alla qualità ambientale" che fa molto "figo".

A tutto questo, come se non bastasse, si aggiungono le sciagure: terremoti, alluvioni, trombe d'aria in quanto ho anche la delega alla "Protezione civile". Quella militare non me l'hanno data, hanno motivato che sarebbe stato troppo rischioso affidarla ad un rivoluzionario comunista.

Infine ho anche la difesa della comunità dagli animalacci, il mio compito è sterminare: zecche, mosche, topi e la terribile zanzara tigre (la passerina no!, non è nelle mie competenze, non so perché ma non me l’hanno data; non me la danno mai). In altre parole ho anche la delega al "Benessere animale ".
Ma non mi lamento, perché se proprio si mette male ho una via d'uscita, infatti sono anche "l'Assessore Servizi Cimiteriali."

Una curiosità ma lei che ha combinato? Quando sul computer ho digitato il suo nome è comparsa la scritta. "Accesso non consentito, il sito non soddisfa le politiche di sicurezza del Comune". Non è che dice di essere Romagnolo invece è un estracomunitario? Sà con l'aria che tira.

Io invece sono un comunista, ma sono buonino, non mangio i bambini e porto anche rispetto alle mammine, e per il momento mi sa che non farò neanche la rivoluzione, ma sono paziente, so aspettare.
                      Ciao Palmiro
                      con simpatia
                                                                                                                                      Palmiro

Li,09.06.08"
Mi rispose in modo che giudicai banale.