venerdì 3 marzo 2017

OTTO BALEKTA E GLI ALTRI

 In realtà gli stranieri che hanno partecipato alla Resistenza sfurono molti di più, appena finita la ricerca che ho in atto aggiorno

I forestieri nella Resistenza della Provincia di Forlì


Otto Balekta partigiano austriaco dell' 8° Brigata Garibaldi

Nella Provincia di Forlì, allora comprendente anche Rimini, sono stati catalogati 4.108 partigiani e 2.531 patrioti, per un totale di 5.948 uomini e 691 donne. Di questi ben 950 pari al 14,3% erano nati fuori Provincia, la gran parte proveniva dalle province limitrofe, troviamo n. 235 pesaresi, n. 70 aretini, n. 68 fiorentini e 165 ravennati, mentre relativamente pochi sono gli emiliani: n. 61 di cui 33 bolognesi e 13 ferraresi. Vi sono poi 67 italiani nati all’estero che per la quasi totalità vanno considerati “Forlivesi” perché figli di emigrati dal nostro territorio.

La forte partecipazione di marchigiani e toscani rispetto agli emiliani si spiega per la conformazione del nostro territorio. La resistenza armata si è svolta per gran parte sull’Appennino che è a ridosso con Marche e Toscana. Nel versante romagnolo il territorio è intercalato da valli che, grosso modo, sono parallele alla linea longitudinale e confluiscono nei “cittadoni” della Via Emilia. Per una formazione clandestina era più facile spostarsi lungo i crinali delle valli che spostarsi in altre valli poco conosciute, perdendo i collegamenti con le basi logistiche delle città di riferimento. Nel riminese e nel pesarese il territorio è un po’ diverso ma anche da quella parte era più facile dirigersi verso il crinale per trovare un territorio adatto alla guerriglia. La Provincia di Ravenna è un caso particolare, come territorio rappresenta in parte il prolungamento della pianura, il confine è solo amministrativo e non naturale. Va poi precisato che nei primi tempi della Resistenza diversi partigiani ravennati furono inviati sull’Appennino perché all’inizio si riteneva impossibile la guerriglia in pianura.
Molti ravennati sono poi presenti nel Battaglione Corbari in quanto ha operato a cavallo fra le due provincie. La formazione romagnola che ha una maggior presenza di forestieri è tuttavia l’8a Garibaldi che operava appunto sull’Appennino, mentre la 29a GAP e le SAP (Squadre d’Azione Patriottiche) erano più territoriali e operavano in prevalenza nella pianura e nei centri urbani.

Negli elenchi ufficiali si registra pure la presenza di una quarantina di stranieri, questo numero è stato stimato togliendo dai n. 105 i partigiani e patrioti nati all’estero quelli che hanno un cognome italiano, oppure, anche se con nome slavo, sono nati in Istria allora italiana o nella Repubblica di San Marino.

Gli stranieri così individuati sono 38, tutti maschi e giovani, tranne una donna. Per la maggior parte (n. 22) sono ex prigionieri di guerra Sovietici fuggiti; erano in Italia perché impiegati in lavori dall’esercito tedesco. Quasi tutti provengono delle regioni meridionali (Caucaso e Dombass). Troviamo anche 4 polacchi, 3 Cecoslovacchi, 5 jugoslavi, un belga e n. 1 o 2 austriaci che disertarono dalla Wehrmacht.

La Mortalità fra i partigiani è stata elevata, superiore al 10%, ma fra quelli nati fuori provincia sale addirittura al 16%. D’altra parte molto alta è anche la percentuale della mortalità dei forlivesi deceduti operanti in formazione di altre provincie della nostra regione: il 13,4% (51 uomini e due donne). Evidentemente chi operava fuori del proprio territorio era più esposto, aveva meno rifugi e soprattutto era a tempo pieno in prima linea. Sorprende quindi che negli elenchi fra i 38 stranieri vi sia un solo deceduto: l’austriaco Otto Balekta sorprende pure che n. 4 sovietici siano stati classificati patrioti e non partigiani come sarebbe stato logico nel loro caso. La bassa mortalità degli stranieri è dovuta certamente anche al loro addestramento militare, più elevato della media dei partigiani locali che in molti casi non avevano nemmeno fatto il militare.

 In realtà la compilazione degli elenchi dei partigiani stranieri specialmente sovietici è molto lacunosa in quanto essendo quasi tutti rientrati in Patria erano meno interessati dal riconoscimento ufficiale dello Stato italiano. Si fa presente che gli elenchi per il riconoscimento della qualifica di partigiano furono stilati secondo i criteri dettati dalle leggi vigente due-tre anni dopo la Liberazione. Della incompletezza dell’elenco dei partigiani sovietici ne dà testimonianza una lettera del comandante del distaccamento slavo dell’ 8a Brigata Sorokin Sergej al comandante partigiano Rodolfo Collinelli del 20/12/1966, in cui riferisce di alcuni soldati sovietici che hanno operato come partigiani nella nostra zona, parla anche di due deceduti e probabilmente non sono gli unici. I nomi che Sorokin nomina non sono nell’elenco dei partigiani e nemmeno lui è menzionato pur avendo avuto un ruolo di rilievo. Probabilmente con la disfatta subita a seguito del rastrellamento molte informazioni andarono perse ed al termine della guerra gli stranieri non erano più qua per ricomporle o più semplicemente molte delle loro schede sono andate perse. Sorokin nel libro dei suoi ricordi “La stella garibaldina” parla di un distaccamento slavo (russi, jugoslavi e cecoslovacchi) di 80 circa combattenti, anche se la cifra è ritenuta “arrotondata per eccesso”, certamente gli stranieri che operarono nella Resistenza forlivese furono molti di più di quelli registrati ufficialmente.

Si può supporre che questo mancato interesse possa anche derivare da una sorta di diffidenza verso gli ex compagni di lotta sovietici, in quanto rientrati in patria furono in massa sottoposti a controlli per individuare i collaborazionisti col nemico. Forse ha giocato anche un certo localismo. Dalle testimonianze dei vecchi partigiani ho riscontrato sia un sentimento di grande ammirazione per il loro coraggio e qualità di combattenti, sia un atteggiamento che mi è parso un certo distacco e non desiderio di approfondire l’argomento. Tensioni col raggruppamento slavo nel primo periodo della Resistenza sono d’altra parte note e documentate. Le brigate partigiane si formarono un po’ alla volta nell’inverno ‘43-44, ma gli stranieri quasi tutti fuggirono dalla prigionia in occasione dell’ 8 settembre o poco prima: si trovarono in un ambiente sconosciuto ciò avrà determinato anche incomprensioni e tensioni, che si risolsero con l’inquadramento nella riorganizzata Brigata Partigiana.

Questi ragionamenti non valgono solo per i combattenti sovietici, ma anche per gli altri stranieri. Di loro si sa poco, nelle ormai molte pubblicazione sulla Resistenza il loro ruolo è trascurato, ne è un caso emblematico il partigiano Otto Balekta, austriaco nato a Vienna, profondamente antinazista. soldato della Whermacht disertò e fu fra i primi ad unirsi alle formazioni partigiane, il suo ciclo operativo è fra i più lunghi, infatti va dal 4/11/1943 al 5/11/1944 quando fu ucciso a San Lorenzo in Comune di Meldola pochi giorni prima della Liberazione mentre era “Componente di una pattuglia partigiana, di guida a soldati alleati ...si scontrava con truppe tedesche e veniva ucciso”. Esiste una sua foto con altri partigiani: giovane, biondo, volto da ragazzo tranquillo, riconoscibile perché è l’unico del gruppo ad impugnare un fucile mauser che si era portato dietro disertando. Ho pensato che una simile figura dovesse sollecitare perlomeno la curiosità, ma di lui non ho trovato altre informazioni. Otto Baleckta non fu l’unico soldato austriaco partigiano dell’ 8a Garibaldi. A Cigno di Civitella di R. è posta una lapide, che riporta i nomi di 5 partigiani ivi fucilati il 17 luglio 1944, uno di loro è “Giuseppe - l’austriaco antifascista”. Da testimonianze raccolte fra gli abitanti del posto si racconta che non fu fucilato come gli altri, ma crudelmente ucciso i a bastonate.

Infine si precisa che se molti forestieri operarono nelle formazioni della nostra provincia, successe anche il contrario. Ben 428 partigiani e 233 patrioti nati nella nostra provincia operarono in formazioni di altre province della nostra regione, la gran parte era tuttavia emigrata in quelle zone. A questi andrebbero aggiunti i partigiani che operarono in altre regioni o all’estero di cui non conosco il dato.

La Resistenza fu un evento con un forte radicamento locale, ma non fu affatto un fenomeno localistico. Per concludere possiamo affermare che i nostri partigiani furono orgogliosamente italiani e patrioti, ma la loro patria non si fermava alla nazionalità, ma era aperta al mondo intero: un mondo di giustizia e libertà per tutti gli esseri umani.

Palmiro Capacci


Nadia Venturini e Sergej Sorokin