venerdì 10 agosto 2018

Le favole di Paolina - Berta la moglie indarlita


LE  FAVOLE DI PAOLINA

 
... ma era quello il tempo migliore della mia vita

é solo adesso che mi è sfuggito per sempre,

solo adesso lo so”.

Natalia Ginzburg



BERTA: LA MOGLIE INDARLITA
(Favola pubblicata nel libro "C'era una volta ... anzi appena ieri" di Palmiro Capacci.)

In questa fiaba ho volutamente utilizzato gli aggettivi romagnoli italianizzati: indarlito, impalzato e invornito che all’incirca rappresentano varie sfumature del termine imbranato, perché erano questi gli aggettivi che venivano utilizzati e francamente per tanto tempo non ho dubitato che non fossero presenti nella lingua italiana.

C’era una volta una piccola casetta nascosta in uno sperduto vallone posto fra impervie colline in cui viveva una coppia di giovani sposi. Marito e moglie erano piuttosto sempliciotti, diciamo pure che erano proprio “indarliti”. Per la verità, il marito poteva ancora passare, la moglie invece era proprio “invornita”. Consapevole di questa sua condizione, cercava di seguire alla lettera le indicazioni del marito di cui ammetteva il maggior buon senso.

Un giorno lui le disse: “Vado nel campo, tornerò verso sera, tu rimani a casa a preparare da mangiare. “Che ti devo preparare caro marito mio? Chiese la donna e il marito rispose: “Potresti cuocere due-tre fagioli”. Partito che fu, la donna si mise all’opera felice di andare incontro ai desideri del marito a cui era molto affezionata. Accese il fuoco, attaccò il paiolo alla catena e lo riempì d’acqua. Aprì il sacco dei fagioli e pensò: “Mi ha detto di cuocere due-tre fagioli, sarà meglio abbondare, il poveretto fatica tanto e torna a casa sempre con una gran fame”. Gettò quindi tre fagioli nel grande paiolo.

Quando ormai l’acqua bolliva da diverso tempo pensò che fossero cotti e per sincerarsene ne assaggiò uno dopo averlo lungamente cercato con la ramina. Verificata la cottura li scolò e li versò nel piatto, li condì, ma le venne il dubbio che non fossero sufficientemente salati, pensò di assaggiarne uno, non voleva certamente servire al suo uomo una pietanza insipida.

Alla sera quando il marito tornò dal campo stanco e affamato si sedette a tavola e chiese: “Moglie hai cotto i fagioli? “(Non disse cara moglie perché i romagnoli di un tempo erano uomini tutti di un pezzo e non perdevano tempo in simili smancerie). “Certo che l’ho fatto, non vedi che ti ho già preparato il piatto?”. rispose la donna. L’uomo vide il fagiolo che se ne stava tutto solo nel piatto e chiese: “Ma gli altri dove sono?”. La moglie precisò: “Mi hai detto di cuocere due-tre fagioli e così ho fatto, poi uno l’ho assaggiato per sentire se erano cotti e un altro se erano sufficientemente salati. C’è rimasto solo quello”. All’uomo uscirono dalla bocca tutta una lunga litania d'imprecazioni e maledisse la disgrazia che gli era toccata nel prendersi una moglie tanto “impalzata”.

Il giorno dopo, prima di partire per il campo, diede alla moglie indicazioni più precise e si raccomandò: “Io torno nel campo, tu prepara da mangiare. Stasera mi piacerebbe mangiare delle tagliatelle, però ho molta fame, non fare come ieri, fanne una bella montagna”. La donna si mise subito all’opera per accontentare il suo uomo. Prese l’intero sacco della farina lo versò tutto sul tagliere, vi spaccò tutte le uova che aveva e siccome non bastavano vi aggiunse dell’acqua e cominciò ad impastare ed a tirare una sfoglia dietro l’altra, le tagliò e le mise ad asciugare. Siccome erano tante cominciò a stenderle in ogni dove, sulla spalliera delle sedie, sul letto, sul filo per stendere i panni e persino sulla siepe che delimitava l’aia.

Rincasò il marito stanco morto e fece per sedersi su una sedia, la moglie lo blocco: “Fermo, fermo che ci sono le tagliatelle”. Lui fece per mettersi su un’altra sedia, ma era la stessa storia, si guardo intorno e vide tagliatelle dappertutto, sconsolato e rassegnato le disse: “Cuocine una pentola mentre che mi stendo un po’sul letto.” “Fermo lì, perché anche sul letto ci sono le tagliatelle”. Al povero uomo non rimase che sciorinare un lungo rosario di “madonne” che incenerivano l’aria.

Il giorno successivo le disse: “Visto che hai preparato da mangiare per parecchi giorni, oggi raggiungimi nel campo e mi raccomando tirati dietro la porta, quando esci”.

La donna, sbrigate alcune faccende di casa, si avviò verso il campo, seguendo scrupolosamente le indicazioni ricevute: si tirò dietro la porta, la staccò dai gangheri e se la caricò sulle spalle. Raggiunto il marito si prese una severa sgridata, ma lei piagnucolando si difese: “Perché mi sgridi, ho fatto come mi hai comandato, mi hai detto di tirarmi dietro la porta ed io me la sono tirata dietro”.

Si misero a zappare, quando verso sera il marito notò che stavano avvicinandosi alcuni uomini. Erano ancora lontani, ma capì che erano due brutti ceffi, erano senz’altro dei briganti appartenenti ad una banda che seminava terrore in tutta la zona. Bisognava nascondersi, ma i campi nei dintorni erano spogli e non offrivano alcun nascondiglio, c’era solo un'enorme quercia. Pensarono di salire su di essa e nascondersi fra le fronde. Accidenti alla porta, non potevano lasciarla lì in vista, i briganti avrebbero potuto insospettirsi. Con molta fatica riuscirono a trascinarla fin sopra l’albero. Con tutto il posto che c’era, dove mai i banditi decisero di fermarsi? Proprio sotto la quercia. Si sedettero e pareva non avessero alcuna fretta, tirarono fuori dal tascapane pane, formaggio ed un fiasco di vino e si misero a mangiare e conversare, parlavano di un sacco di monete d’oro che erano riusciti a rubare. Intanto si era già fatto buio. Dopo aver mangiato i briganti tirarono fuori un grosso sacco, lo aprirono ed era pieno di marenghi d’oro che scintillavano alla luce della luna che si era già levata. Quello che sembrava essere il capo cominciò l’equa spartizione del bottino: “Uno a me, uno a te e uno a me poi rivolgendosi all’altro bandito ricominciava Uno a me, uno a te e uno a me”.

Dall’alto i due contadini vedevano e sentivano tutto. Ad un certo punto la donna disse bisbigliando: “Marito mi scappa una gran pisciata che non riesco più a tenerla”.

No, per carità, non lo fare, non lo fare… va a finire che ci scoprono e ci ammazzano”. Supplicò l’uomo.

Ma la poveretta veramente non riusciva più a trattenerla e la mollò. In basso i briganti furono investiti dalle gocce che cadevano.

Ha cominciato a piovere” disse uno dei ladri.

Non può essere, non vedi che nel cielo ci sono la luna e le stelle?”, constatò il capo.

Allora è la guazza notturna”, replicò l’altro.

Dopo un po’di nuovo la moglie bisbiglio: “Marito mi scappa qualcosa di più grosso. Ho mal di pancia non la tengo più”.

Ancora il marito la supplico: “Non lo fare, non lo fare stavolta ci scoprono veramente e…”.

Ma se scappa veramente, scappa e la donna la mollò, addosso a quelli che stavano dabbasso. I briganti colti di sorpresa annusarono e dissero: “Ma questa è merda!“.

Il più intelligente sentenziò: “Saranno gli uccellini appollaiati sull’albero che la mollano”.

Diedero una schioppettata in aria per spaventarli e continuarono nella spartizione.

Ma non era ancora finita che la donna tornò alla carica: “Marito! Marito mi sta scivolando la porta… non la tengo più… cade, cade!“.

La porta che si erano trascinata sull’albero precipitò addosso ai due malcapitati con fracasso infernale. Tramortiti e spaventati i due manigoldi pensarono che si fossero aperte le porte dell’inferno e fuggirono tutti, chi da una parte chi dall’altra.

I due contadini, accertato che i briganti non erano tornati indietro, scesero dall’albero, e trovarono il sacco delle monete d’oro, lo presero assieme alla loro porta e si diressero verso casa.

Capirono di essere diventati molto ricchi. Il contadino disse alla moglie: “Dobbiamo nasconderli, almeno per un po’di tempo perché i ladri potrebbero venirlo a sapere, poi c’è tanta gente cattiva in giro, i vicini poi sono gente invidiosa e ci potrebbero arrecare dei guai”.

Pensarono di seppellire i marenghi d’oro in un buco scavato sotto il letto.

La moglie osservò: “Ma non sappiamo neanche quanti sono, dovremmo contarli”.

Ma nessuno dei due sapeva contare fino ad un numero così alto. Ebbero l’idea di misurarli con uno staio, ma non lo possedevano, allora pensarono di andarlo a chiedere in prestito ad una loro vicina.

La vicina era una braghira pettegola e mossa dalla curiosità chiese cosa mai dovevano misurare quei due poveracci che nulla mai avevano avuto da misurare. Siccome non riuscì a farselo dire ebbe un’idea e mise un poco di strutto sul fondo dello staio.

Tornati a casa i contadini misurarono con lo staio le monete e le seppellirono nel buco sotto il letto. Non si accorsero che una moneta era rimasta appiccicata nel grasso. Quando restituirono lo staio la vicina vide la moneta e si meravigliò molto del fatto che due disgraziati con una gran miseria che spellava le ossa potessero avere monete d’oro. Rosa dall’invidia andò ad informare le guardie.

Due guardie con un gran pennacchio in testa si recarono alla casa dei nostri due protagonisti. Il marito come al solito si era recato nel campo e le guardie trovarono solo la moglie. Cominciarono a farle un sacco di domande sulle monete d’oro. Lei poverina balbettava, si confondeva e le scappò di dire: “Non le abbiamo mica rubate, le abbiamo trovate sotto la quercia. È stato il giorno dopo che lo stendipanni e la siepe erano coperte di tagliatelle”.

Le guardie si guardarono, sorrisero, si dissero: “Ma questa è proprio matta, crede che le tagliatelle piovano dal cielo”. Se ne andarono e non dettero più retta alla invidiosa vicina, che pensarono fosse matta anche lei.

Fu così che da quel giorno i due sposi imbranati vissero felici e contenti.