giovedì 31 ottobre 2019

Filastrocche e similari




FILASTROCCHE, CONTE E SIMILARI
dal libro: "C'era una volta ... anzi appena ieri".
di Palmiro Capacci 
 


Ho riportato solo le filastrocche che da bambino cantilenavo giocando o che ho sentito dire da parenti, amici e conoscenti delle nostre zone: Valle del Bidente, del Rabbi e del Borello. Si tratta quindi di una rappresentazione parziale di una determinata area e periodo temporale, volutamente non ho inserito quelle trovate in altre pubblicazioni, anche se in alcuni casi me ne sono avvalso per completare quelle in cui il ricordo era parziale.
Le filastrocche, le “conte”, i proverbi, le ninna nanna e le fiabe appartengono comunque ad una cultura popolare che si trasmetteva da luogo a luogo eventualmente cambiando dialetto o particolari di una comune trama anche in regioni molto distanti fra loro.
Le filastrocche per loro natura sono facili da ricordare, e generalmente la trasmissione avveniva da bambino a bambino. A differenza delle poesie più astratte che a scuola si dovevano imparare a memoria, le filastrocche anche quando non erano di facile comprensione avevano un diretto legame alla vita quotidiana ed erano più soggette a rinnovarsi e a reinventarsi seguendo le trasformazioni sociali e di costume.
Con una maggiore scolarizzazione e coi giochi di gruppo negli asili infantili e nelle colonie, il dialetto lasciò il posto all’italiano, ma nei cortili o nelle aie contadine spesso i due idiomi si intrecciavano con l’apporto di varianti o aggiunte determinate dalla creatività dei bambini. Si noterà che alcune delle filastrocche riportate hanno una chiara origine scolastica, un bambino le leggeva nel sussidiario, ma poi se gradite le memorizzava e le trasmetteva ai coetanei.
Molte filastrocche della nostra terra si sono perse e nel dopoguerra altre hanno sostituito quelle della cultura arcaica. Non è un caso che i testi riportati siano in gran parte in lingua italiana poiché il periodo storico di riferimento è quello della seconda metà del secolo scorso, periodo di profonda trasformazione e di crisi in cui la “cultura romagnola “sempre più si omologava al pensiero unico della società consumistica. Tuttavia la storia non passa invano e qualcosa rimane sempre anche se sotto traccia ed è per non perdere il senso della nostra storia personale e collettiva che ricordo queste filastrocche che fanno parte del nostro patrimonio culturale e storico. 
 

FILASTROCCHE


LA SDENTATA
La sdintêda la fa i turtël
e la’n dà gninta a i su fradël.
I su fradël i fa la piëda
e in dà grinta ala sdintëda

La filastrocca veniva recitata solo in dialetto. Spesso al posto dei suoi fratelli c’erano i figli: “i su burdel”, tuttavia capitava di sentire anche la versione italiana con Zucca pelata al posto della Sdentata e la frittata al posta della piada.
Traduzione:
La sdentata fa i tortelli
E non da niente ai suoi fratelli.
I suoi fratelli fan la piada
e non danno niente alla sdentata.

CHICCHI RIVOLTA
C'era una volta
Chicchi rivolta
che rivoltava i maccheroni
e se la fece nei calzoni.
La sua mamma lo sgridò,
e lui ne fece un altro po’.
A mandarlo in paradiso,
si mangiava tutto il riso.
A mandarlo in purgatorio,
si beveva tutto l’olio.
A mandarlo all’inferno,
finalmente stava fermo

TIRINDINA
Tirindéna pân buffet
met la cêva in te caset!
Tirindéna pân bufon
Met la ceva in te cason!
Met la cêva in tla canténa
ca fasèn la tirindèna!
Metla ad qua, metla ad là
Chicadun u la troverà.
Traduzione:
Tirindina pan buffet
metti la chiave nel cassetto!
Tirindina pan bufon
metti la chiave nel cassone!
Metti la chiave nella cantina
che facciamo la tirindina!
Mettila di qua, mettila di là
Qualcuno la troverà.
Come mostra la mancanza di rima veniva recitata solo in dialetto. Cosa fosse la tirindina non mi è dato sapere, era comunque un evento festoso, il pan buffet era un pane francese molto bianco e morbido, quindi una squisitezza nell’immaginario del contadino che consumava un pane più duro, cotto una volta alla settimana.
In sostanza nelle case povere si tenevano gli alimenti più pregiati (a volte anche il pane) sotto chiave e si esprime il desiderio di trovare la chiave per far festa.

LA CAMPĖNA AD SAN SIMON. (versione 1)
La campéna ad Sân Simon
j era in tri chi la sunëva,
pân e vèn j guadagnëva,
j guadagnëva un për ad gapun
da purtè ai su padrun.
I su padrun in n’era a cà.
U j era da la Ruséna mata
clà faşeva e pân con al zémpi de cân
e cân l’era un po’vëcc
e u steva sêt e lêt.
E lêt l’era un po’bas
e ui steva ânca e gat.
E gat l’era in camïsa
e i s-ciupeva tôt dal rïsa.

Traduzione:
La campana di San Simone
erano in tre che la suonavano,
guadagnavano pane e vino,
guadagnavano un paio di capponi
da portare ai loro padroni.
I loro padroni non erano a casa.
Erano dalla Rosina matta
che faceva il pane con le zampe del cane.
Il cane era un po’vecchio
e stava sotto il letto.
Il letto era un po’basso
e ci stava anche il gatto.
Il gatto era in camicia
. e scoppiavano tutti dalle risa.

Le filastrocche viaggiano e si trasformano molto. Pensi che sia originale della tua terra poi ne trovi una simile magari della parte opposta d’Italia, oppure capita che vi siano varianti anche nello stesso luogo. La versione sopra riportata mi è stata trasmessa da mia sorella Colomba. Nel libro “Voce di donne: storia di paese. Cusercoli 1881-2006” di Germana Cimatti e Alba Piolanti di Cusercoli la signora Elena Bonetti (Lina) racconta la seguente versione:

LA CAMPĖNA AD SAN SIMON. (versione 2)
La campéna ad Sân Simon
j era in tri chi la sunëva,
pân e vèn j guadagnëva,
j guadagnëva un për ad pizun
per purtè a e su padrun.
E su padrun un gnera,
u j'era la ziì Sénta
cla faseva la torta biânca,
uj ne caschet un pezzetin.
L’hai caschet sôta e tavlin
e tavlin l'era un po’bus.
E di sotto c'era un bus.
Un bus tutto forà.
E di sotto c'era un prà.
Un prà tutto fiorit
con tre dame da marit
Una la cuce, una la taglia
Una fa il cappel di paglia
per portarlo alla battaglia.
Una la fa il cappel di piomb
per girare tutto il momd.
Quando il mondo fu girat
il cappello fu stracciat.

Interessante notare come questa versione inizi in dialetto e si concluda in italiano con qualche inflessione sanpierana Non è un caso unico: l'italiano entrava sempre più nella cultura popolare e talvolta conviveva col dialetto nello stesso racconto o filastrocca.


LA VECCHINA PICCINA PICCIÒ
C’era una volta una vecchina
piccina, piccina picciò
che abitava in una casina
piccina, piccina picciò
e aveva una gallinina
piccina, piccina picciò
che fece un ovino
piccino, piccino picciò.
E la vecchina
piccina, piccina picciò
con una padellina
piccina, piccina picciò.
fece una frittatina
piccina, piccina picciò.
Arrivò un moscone tutta gliela mangiò.
La vecchina andò a protestare dal podestà.
Gli disse: signor podestà
Avevo una gallinina
piccina, piccina picciò
che m’ha fatto un ovino
piccino, piccino picciò
e con una padellina
piccina, piccina picciò
mi son fatta una frittatina
piccina, piccina picciò.
L’è arivàt un moscone che tutta me la mangiò.
Signor Podestà che fò?
Il podestà le rispose:
Cara donnina se vedete il moscone
prendete una ciabatta e schiacciatelo”.
Il quel momento il moscone
sul naso del podestà s’adagiò.
La vecchina prese una sua ciabatta
e una gran botta sul naso gli mollò.

PIOVE
E piöv, e piöv
e la gata la fa l’öv,
la fa l’öv in tla canténa
tira la coda a la biréna.

Traduzione:
Piove, piove
la gatta fa le uova,
fa l'uovo nella cantina,
tira la coda alla tacchina.

CHI FA LA SPIA
Chi fa la spia
un n’è e fiöl ad Maria
un n’è e fiöl ad Gesù
e quând us mör u va lazò (o zò, zò).
U va lazò da cl’umäz
cus ciéma giavuläz.

Traduzione:
Chi fa la spia non è figlio di Maria,
non è figlio di Gesù
e quando muore va laggiù (o giù, giù)
Va laggiù da quell’omaccio
che si chiama diavolaccio.

Con questa rima si canzonavano gli spioni. Si declamava quasi sempre nella versione italiana, in dialetto solo, ma non sempre, quando si era in ambito familiare.

CICCIO BOMBA CANNONIERE (o CAVALIERE)
Ciccio Bomba cannoniere
con tre buchi nel sedere,
con tre buchi nella pancia,
Ciccio Bomba vola in Francia,
ma in Francia c'é la guerra
Ciccia Bomba va per terra.
Di solito era una presa in giro dei bambini ciccioni e gli ultimi due versi venivano spesso tralasciati.


CHICCOLINO
Chiccolino, dove stai?
Sotto terra, non lo sai?
E là sotto cosa fai?
Dormo dentro la mia culla.
Dormi sempre, ma perché?
Voglio crescer come te.
E se tanto crescerai,  
Chiccolino, che farai?
Se tanto crescerò,
tanti chicchi ti darò.

SEGA MULEGA
Sega mulega,
il babbo va a bottega,
la mamma fa gli gnocchi,
e il bimbo fa i balocchi.

Variante raccolta nella zona di Forlimpopoli
Sega mulega
Il babbo va in bottega,
la mamma lavora,
domani è festa
e si mangia la minestra.
La minestra non è cotta
e si mangia la ricotta.
La ricotta non è condita
e si mangia l'ortica.
L' ortica fora
e domani si lavora

LUMACA LUMACHINA
Lumêga, lumagnina
tira föra al tu cornina.
una par te
una par me
si no at met in padëla
te e la tu surëla.

Traduzione:
Lumaca lumachina 
tira fuori le tue cornine.
una per te
una per me
altrimenti ti metto in padella
te e tua sorella.


LA BEFANA
La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
col vestito alla romana.
Viva, viva la Befana!

Una versione più completa raccolta a Forlì recitava:
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte,
con la cuffia e la sottana
viva viva la Befana!
Con la cuffia rossa e blu
fichi e noci butta giù
e riempie la calzina
Mò! Che brava la Befanina.

PIRULIN CHE PIRULAVA
Pirulin che pirulava
senza gambe camminava,
senza culo si sedeva
dimmi un po’come faceva?
È un indovinello. A voi la risposta.

PIRULIN PIANGEVA
Pirulin Pirulin piangeva,
mezza mela voleva;
sua mamma non l’aveva.
Pirulin Pirulin piangeva,
A mezzanotte in punto
passo un aeroplano
E di sotto c’era scritto:
Pirulin sta zitto!”


CASA MIA
Casa mia, casa mia,
per piccina che tu sia,
per il brutto o per il bello,
mi sei più cara d’un castello.

Gli ultimi due versi venivano anche sostituiti con: "tu mi sembri una badia. da piccplo mi chiedevo cosa mai fosse una badia e non trovavo chi sapesse spiegarmelo.

SILENZIO PERFETTO
Silenzio perfetto,
la mano sul petto,
chi dice parola,
va fuori di scuola
Recitata a scuola con un chiaro intento ironico verso i maestri.

FILASTROCCA DEI NUMERI
UNO: figlio di nessuno.
DUE: figlio del bue.
TRE: figlio del re.
QUATTRO figlio del gatto.
CINQUE: siete tutte tinche.
SEI: asino che sei.
SETTE: il pane a fette.
OTTO: asino cotto.
NOVE: ti do le prove.
DIECI: pane e ceci.

PIO, PIO, PIO.
Lunedì chiusin chiusino,
martedì bucò l'ovino,
sgusciò fuori mercoledì,
Pio, pio, pio” fà giovedì,
venerdì fa un volettino,
beccò sabato un granino
e la domenica mattina
aveva già la sua crestina.


SAN MICHELE
San Michele aveva un gallo
bianco, rosso, verde e giallo
e per farlo cantar bene
gli dava latte e miele.

LA PIGRIZIA ANDÒ AL MERCATO
La pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò.
Mezzogiorno era suonato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua, accese il fuoco,
si sedette e riposò…
Ed intanto a poco a poco,
anche il sole tramontò.
Così, persa ormai la lena,
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la poverina se ne andò.

PIGRIZIA E IL CAFFÈ
Pigrizia tu vò un cafè?
Se grazie, al toj vlunter.
O pigrizia, alora tò una täza.
No grazie la voja la mè pasa…
Traduzione:
Pigrizia vuoi il caffé?
Sì grazie, lo prendo volentieri.
Pigrizia, allora prendi una tazza.
No grazie, la voglia mi è passata…

LE OCHETTE DEL PANTANO
Le ochette del pantano
vanno piano piano,
tutte in fila come fanti,
una dietro e l'altra avanti,
una si pettina,
l'altra balbetta
con voce bassa
la stessa parola,
una sull'acqua
con una barchetta,
fatta di un foglio
di libro di scuola.

LA VISPA TERESA
La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
A lei supplicando
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.
Teresa pentita
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.

Più che una filastrocca era una canzoncina piuttosto diffusa cantata dalle bambine. È forse l’unico testo in cui si possa risalire all'autore. Questo è il testo originale, ma vi sono molte versioni con leggere varianti.

VOLTA LA CARTA
C’è la donnina che semina il grano
Volta la carta e si vede il villano.
il villano che zappa la terra
Volta la carta e si vede la guerra,
la guerra con tanti soldati 
Volta la carta e si vede i malati,
i malati con tanto dolore.
Volta la carta e si vede il dottore
il dottore che fa la ricetta.
Volta la carta e si vede Concetta
la Concetta che fa i bigodini.
Volta la carta e ci sono tanti bambini
i bambini che van per i campi.
Volta la carta e si vedono i lampi,
i lampi che fanno spavento
Volta la carta e si vede il convento,
il convento coi frati in preghiera
Volta la carta e si vede la fiera,
la fiera con burle e con lazzi.
Volta la carta e si vedono i pazzi,
i pazzi che cantano a letto.
Volta la carta e si vede lo spettro,
lo spettro che appare e va via.
Volta la carta e si vede Lucia,
Lucia che fa un vestitino.
Volta la carta e si vede Arlecchino,
Arlecchino che fa gli sgambetti.
Volta la carta e ci sono i galletti,
i galletti che cantano forte
Volta la carta e si deve la Morte,
la Morte che falcia la gente
Volta la carta e non si vede più niente.

Non era molto usata dai bambini, la recitavano, più che altro, per compiacere i genitori e gli adulti in genere.

ALLE TRE FONTANE
Andai alle tre fontane
mi lavai le mani,
mi cascò l'anello
dal dito piccirello,
pesca e ripesca
l'anello non veniva,
andai dalle tre sorelle
che facevan le frittelle,
me ne dieder solo una
Oh! Com'era buona!
I topi per le scale
suonavano le campane,
e la gente per la via,
buona sera signoria!

BIM, BUM, BAM RATAPLAN
Questa è la conta del rataplan.
Rataplan ne conta dieci.
Nove fagioli e otto ceci,
sette lenticchie e sei cipolle,
cinque spinaci e quattro bolle,
tre patate e due salami.
Questa è la conta del rataplan.
Ne manca solo uno,
non lo vede mai nessuno,
sta giocando a bim, bum, bam.
Questa è la conta del rataplan.

LOZLA LOZLA CAMPANELA
Lózla lózla campanëla.
Ven da me ca so la piò bëla,
a so piò bëla dla fiöla de re.
Lózla lózla vën da me.

Traduzione:
Lucciola lucciola campanella.
Vien da me che son la più bella,
son più bella della figlia del re.
Lucciola, lucciola vien da me

LOZLA LOZLA, GAIA GAIA
Lózla lózla, gaia gaia
Mèt la bria a la cavala
La cavala la j’è de re
Lózla lózla ven la me

Traduzione:
Lucciola lucciola, gaia gaia
Metti la briglia alla cavalla.
La cavalla è del re.
Lucciola, lucciola vien da me

LUCCIOLA, LUCCIOLA VIEN DA ME
Lucciola, lucciola vien da me
che ti do un pan del re
il pan del re e della regina.
Lucciola, lucciola vien vicina

DIN DON CAMPANON
Din Don campanon.
Al campâni ad Sén Simon
li sunêva tânt fört
chi butêva zo al pört
chi butêva zó e purtôn
Bim, bum, bam.

Traduzione:
Din don campanon.
Le campane di San Simon
sonavano tanto forte
che buttavan giù le porte
che buttavan giù i portoni.
Bim, bum, bam!

SAN MARTINO
Sân Martén dal castagni
cu vén zó dal muntagni,
u vèn zó con e caritén.
Viva, viva Sân Martén.
Traduzione:
San Martino delle castagne
Che vien giù dalle montagne,
vien giù col carettino.
Viva, viva San Martino!

DMAN L’È FESTA
Din don dan.
Ad dmân l’è festa
Us magna la minestra,
la minestra l’an mi piës
us magna pân e brës.
Al brës li tropi neri,
us magna pan e peri,
la pera la j è tròpa biânca
us magna pân e pânca,
la pânca la j è tropa dura
us va a let adiritura.

Le vocali â ed é hanno una pronuncia molto simile tanto da mantenere la rima.
Traduzione:
Din don dan,
Domani è festa
si mangia la minestra,
la minestra non mi piace,
si mangia pane e brace.
La brace è troppo nera,
si mangia pane e pera,
le pera è troppo bianca,
si magia pan e panca,
la panca è troppo dura,
si va a letto addirittura.

CECCO BILECCO
Cecco Bilecco
infilato in uno stecco;
lo stecco si rompe
e Cecco va nel ponte;
il ponte si rovina
e Cecco va in farina;
la farina si staccia
e Cecco si sculaccia;
si sculaccia sodo sodo
e Cecco va nel brodo;
il brodo si beve
e Cecco va nella neve;
la neve si strugge
e Cecco fugge fugge!!!

È CREPATO L’UOMO NERO
Bimbi e bimbe fate festa
e venite alla finestra:
è crepato l'uomo nero,
è sepolto al cimitero!
La paura è ormai finita:
si comincia un'altra vita.
Bimbi e bimbe, tutti giù
l'uomo nero non c'è più

BASTIAN CONTRARIO
Bastian contrario dorme di giorno
la notte lavora o va d'intorno;
mangia l'acqua, beve il pane,
carezza il lupo, picchia il cane.
Il cane stupito gli fa: “miao miao"
e il gatto seccato gli fa: “bao bao”.

QUATTRO VECCHIE SUL SOFÀ
Bim bum bam
quattro vecchie sul sofà.
Una che fila, una che taglia,
una che fa cappelli di paglia,
una che fa coltelli d'argento
per tagliare la testa al vento.
Anche questa è fra quelle sentite nell’infanzia, ma il ricordo è molto vago.

SOLDATIN CHE VA ALLA GUERRA
Soldatin cu và a la guera,
magna pòc e dorma in tera,
fa la vita a la cagnèsca,
pöc e pén e acqua fresca;
quând e tenp l’è de tambur…
cich, ciach, bum bum!

PINOCCHIO IN BICICLETTA
Alla larga, alla stretta,
Pinocchio in bicicletta
Alla pi, alla pò
Pinocchio se ne andò
se ne andò sulla montagna
a prendere una castagna.

Personalmente ricordavo solo i primi due versi, i bambini li urlavano agli altri come invito a farsi da parte.

FARFALLINA
Farfallina bella e bianca
Vola, vola
e mai è stanca.
Vola in qua, vola là
Farfallina se ne va!
E poi si posa sopra un fior.



FILASTROCCHE PER PICCINI
Accompagnate da azioni verso bambini piccoli


CAVALLINO RIO RÒ
Cavallino rio rò
prendi la biada che ti do.
Prendi i ferri che ti metto
per andare a San Benedetto.
San Benedetto all’osteria
cavallino trotta via.

Si prendeva un bambino, lo si metteva a cavallo delle ginocchia e mentre si recitava la filastrocca lo si faceva saltellare, la versione originale era più lunga ma ben pochi la ricordano ed io non sono fra questi.

TIRA LA SEGA
Tira la sega,
metla a e sôl,
quâd la j è sèca
la manda l’udôr.

La filastrocca veniva declamata solo in dialetto. Tenendo un bambino a cavalcioni sulle ginocchia leggermente aperte, lo si teneva saldamente per le mani e lo si ondeggiava avanti e indietro mimando la sega a due mani (e s-gon), prima piano poi sempre più velocemente aumentando l’ondeggiamento. Verso la fine quasi gli si faceva toccare la testa per terra.
Tira la sega,
mettila al sole,
quando è secca,
manda l’odore.
BATTI LE MANINE
Batti batti le manine,
che arriva papà.
Porterà le chicche
e il bimbo le mangerà.

La si recitava ai piccini insegnandogli a battere le mani.

PIAZZA BELLA PIAZZA
Piäza bèla Piäza
l’è pasé la lëvra päza.
Quest u la j à vësta,
quest u la j à mazëda,
quest u la j à scurghëda,
quest u la j à cusinëda
e quest clè e piò z’ninin
cle andè in tla cânténa a to e pân e vén
un gnè tuchè gnénca un u-sarin.

La filastrocca veniva declamata in dialetto mimandola sulla mano, prima strofinando l’intero palmo poi toccando ogni dito, il mignolo lo si tirava un pochino.
Piazza bella piazza
è passata la lepre pazza.
Questo l’ha vista,
questo l'ha ammazzata
questo l’ha scorticata
questo l'ha cucinata
e a questo che è il più piccolino
che è andato in cantina a prendere pane e vino
non è toccato neanche un ossicino!

BELLA MANINA
Bella manina
dove sei stata?
Dalla nonnina.
Cosa ti ha dato?
Pane e ciccina.
Gratta gratta la manina
Si declamava cantilenando ed accarezzando il palmo della mano, si terminava cambiando tono nell’ultima strofa e si grattava la manina del bimbo.
LE DITA DELLA MANINA.
Quest u dis: “A j ò fâma.
Quest u dis: “Un gnè n’è”.
Quest u dis: “Com a farégna”.
Quest u dis: “A rubarégna”.
Quest u dis: “No fë, no fë, tut fë lighè.

Sul palmo aperto della mano si indicava un dito per ogni strofa. Partendo dal pollice.

Questo dice; “Ho fame”.
Questo dice; “Non ce n’è”.
Questo dice; “Come faremo”.
Questo dice; “Ruberemo”.
Questo dice; “Non farlo non farlo che ti fai legare”.

Nel libro di Carmen Cantarelli “Aj e patédi sòta la brèsa “ho trovato una versione con l’ultima strofa modificata.

Quèst u dis: “A j ò fâma.
Quèst u dis: “Un gnè n’è.
Quèst u dis: “Com a farégna.
Quèst u dis: “A rubarégna.
E quest cl’è e piò znin u dis;
Gnéc, gnéch a magnarem e’bréch!”


MANO MORTA
Mèna morta, mèna morta, mèna morta…
Peccia peccia in ‘tla tu bocca.
Che intla mia uj è la bua,
pècia pecia in ‘tla tua

Era un giochetto che si faceva ai bambini di pochi anni. Gli si prendeva un braccio, si diceva di lasciarlo “andare” lo si muoveva ripetendo sempre “Mano morta, mano morta…, finché il braccio non fosse completamente rilassato, a questo punto si cambiava completamente tono e con un gesto veloce lo si muoveva in modo da procurare uno schiaffo sulla faccia del bambino mentre si diceva “picchia nella tua bocca”.



DIN DON CAMPANON
Ucin bël, ucin bël
quest’l’è e su fradël.
Urcina bëla, urcina bëla
questa l’è la su surëla.
Quest lè e purtön di frë.
e in te mez u j è e campanon cu fa:
Din don, din don”.

Si recitava ai bambini molto piccoli, indicando delicatamente occhi, orecchie, bocca ed infine, scuotendo più energicamente, il naso.

Occhino bello, occhino bello
questo è il suo fratello.
Orecchina bella, orecchina bella
questa è la sua sorella
Questo è il portone dei frati
e nel mezzo c’è il campanone che fa:
Din don, din don”.


INDOVINELLO PER BAMBINI
Siamo cinque fratellini
tutti svelti e birichini.
Indovina un po’chi siam?
Siam…

(Lasciamo la domanda insoluta così non lo saprete mai).











FILASTROCCHE
PER GIROTONDI E GIOCHI


LA BELLA LAVANDERINA
La bella lavanderina
che lava i fazzoletti
per i poveretti
della città.
Fai un salto,
fanne un altro,
fai la riverenza,
fai la penitenza.
Fai una giravolta,
fanne un'altra volta,
guarda su,
guarda giù,
dai un bacio a chi vuoi tu!

Si accompagnava ad un girotondo in cui una bambina stava al centro mimando la lavandaia poi dava un bacio a chi doveva sostituirla.

GIROTONDO
Giro, girotondo.
Casca il mondo,
casca la terra,
tutti giù per terra.
Ovviamente era un girotondo in cui alla fine si finiva tutti a terra.

LA BATTAGLIA DI MAGENTA
C'era un bel dì
la battaglia di Magenta.
Che bel vedere
caricare i cavalieri.
Cavalieri, al trotto!
Al galoppo!
Caricate!
Con una mano!
Con due mani!
Con un piede!
Con due piedi!
La filastrocca accompagnava una serie di gesti in cui si battevano mani e piedi e si rifacevano con i piedi saltellamenti vari. Veniva ripetuta varie volte con un ritmo sempre più frenetico. Si recitava specialmente in colonia.

CENTOCINQUANTA LA GALLINA CANTA
Centocinquanta la gallina canta,
lasciala cantare che la voglio maritare;
le voglio dar cipolla:
cipolla è troppo forte;
le voglio dar la morte:
la morte è troppo scura;
le voglio dar la luna:
la luna è troppo bella;
voglio darle mia sorella:
mia sorella fa i biscottini
e li da a tutti i bambini.
Ai bambini fanno male:
corri, corri all'ospedale.
L'ospedale sta lassù,
dagli un calcio e buttalo giuuuuuuuù

Si recitava nei girotondo ed alla fine ci si acquattava a terra.

GIGETTO IN BICICLETTA
Alla larga, alla stretta
Gigetto in bicicletta.
Guardami mamma!
Senza freni!
Senza mani!
Senza piedi!
Senza… denti! "

Dalle nostre parti si raccontava come una barzelletta con Pierino, ma in un libro l'ho trovata catalogata come filastrocca.







CONTE




AMBARABÀ
Ambarabà Ciccì Coccò
tre civette sul comò
che facevano l'amore
con la figlia del dottore
il dottore s'ammalò
Ambarabà Ciccì Coccò

UCCELLIN CHE VIEN DAL MARE
Uccellin che vien dal mare
quante penne può portare?
Può portarne trentatrè
a sta fuori tocca a te
un, due e… tre

PONTE DI VERONA
Sotto il ponte di Verona
c’è una vecchia scureggiona
che cuciva le mutande
per non fare il buco grande,
ma il buco si allargò
e la vecchia scureggiò

IL CAFFÈ DELLA PEPPINA (Versione 1)
Un, due e tre
la Peppina fa il caffé,
fa il caffé con pepe e sale,
la Peppina va all’ospedale.
Un due e tre
a star fuori tocca a te.

IL CAFFÈ DELLA PEPPINA (Versione 2)
Un, due e tre
la Peppina fa il caffé,
fa il caffé di cioccolata,
la Peppina l'è ammalata.
È ammalata con gran dolore,
la Peppina va dal dottore.
Il dottore la sgridò.
Ambarabà ciccì, coccò.

SOTTO IL PONTE DI BELACCA(o BARACCA)
Sotto il ponte di Belacca
c’è un mimin che fa la cacca,
la fa dura, dura, dura,
il dottore la misura,
la misura trentatrè,
a star fuori tocca… a te.

Da Giuseppina Speranza, un'anziana maestra di Rieti, ho appreso la seguente versione, piuttosto diversa, ma con un'evidente traccia comune, peraltro si può comprendere da dove deriva la parola “Belacca”.

Sotto il ponte di bell’acqua,
c’è mimin che fa la cacca
e la fa di tre colori,
bianca rossa e verdolina
c’e un dottore che l’indovina.

PASSA PAPERINO
Passa Paperino
con la pipa in bocca
guai a chi la tocca.
L'hai toccata proprio te.
A star fuori tocca proprio a te.

OLIO, PEPE e SALE
Olio, pepe e sale
per condire l’anima… leee

Non era una conta, ma svolgeva la stessa funzione. I bambini mettevano il dito indice sotto il palmo della mano di un loro compagno che recitava la frase e chiudeva la mano nel momento in cui pronunciava la l’ultima sillaba. Non funzionava gran che, c’erano sempre polemiche.




SCIOGLILINGUA




Gli scioglilingua erano diffusi specialmente in ambiente scolastico, infatti sono spesso in lingua italiana. La trasmissione avveniva più che altro oralmente da bambino a bambino, anche l'origine era spesso nei testi scolastici.

CIELO NUVOLOSO
U j è un zël nuvlos in qua e là,
chi è a ca’ad chiêtar
is vega a ca’.
Se me a fös a ca’ad chiêtar,
com chiêtar j è a ca mia
A tureb so e mi bastonzin
e a andreb via.

Più che una filastrocca pare uno scioglilingua, ironico verso chi ti si infila in casa e non si toglie mai dalle scatole.

Traduzione.
C’è un cielo nuvoloso in qua e là,
chi è a casa degli altri
vada a casa.
Se io fossi a casa degli altri,
Come gli altri che sono a casa mia
Prenderei il mio bastoncino e andrei via.

LA CAPRA
Sopra la panca
la capra campa,
sotto la panca
la capra crepa.

APELLE
Apelle figlio d’Apollo
fece una palla di pelle di pollo.
Tutti i pesci vennero a galla
a vedere la palla di pelle di pollo
fatta da Apelle
figlio di Apollo.

Di evidente provenienza scolastica, si recitava non avendo la minima idea di chi fosse Apelle e solo una vaga idea di chi fosse Apollo.

TRENTATRÈ TRENTINI
Trentatrè trentini
entrarono in Trento
tutti e trentatrè
trotterellando.

SE OGGI SEREN NON È
Se oggi seren non è
doman seren sarà
e se non sarà seren
si rasserenerà






NINNE NANNE


NINNA NANNA, NINNA OH
Ninna nanna, ninna oh
questo bimbo a chi lo do?
Se lo do alla befana
se lo tiene una settimana.
Se lo do all'uomo nero,
se lo tiene un anno intero.
Se lo do all’uomo bianco,
se lo tiene tanto tanto.
Ma lo do alla sua mamma
che gli canta la ninna nanna.

Era decisamente la ninna nanna che ricordo come la più usata.


STELLA STELLINA
Stella stellina
la notte si avvicina,
la fiamma traballa,
la mucca è nella stalla.
La mucca e il vitello.
La pecora e l'agnello.
La chioccia coi pulcini.
La gatta coi gattini.
Il bimbo e la sua mamma
Ognuno ha il suo bambino,
ognuno ha la sua mamma.
e tutti a far la nanna
con la sua mamma.

NINNA NANNA
Ninna nanna, ninna nanna,
il bambino è della mamma,
della mamma e di Gesù
e il bambino non piange più

NINNA NANNA (sconsolata)
Ninna nanna, ninna nanna.
La mimina l’an vò durmì:
la s’arsmeja ala la su mamma,
poc ad bon la j’à davni

Traduzione:
Ninna nanna, ninna nanna.
La bambina non vuol dormire:
si assomiglia alla sua mamma,
poco di buono diventerà.

COSCINE DI POLLO.
Fate la nanna, coscine di pollo,
fate la nanna coscine di mamma.
La mamma vi ha fatto un gonnello
ve l’ha fatto con lo smerlo in fondo.
Fate la nanna, coscine di pollo.
Fate la nanna, possiate dormire.
Il letto è fatto di rose e viole
e la coperta di lana sottile.
Fate la nanna, begli occhi di sole.
Fate la nanna, un bel sonno faremo,
un sonno lungo e poi ci sveglieremo.

Nei miei ricordi si declamavano solo i primi cinque versi ripetendoli.

C’ERA UNA VOLTA UN RE
C’era una volta un re
seduto sul sofà
che disse alla sua serva:
Raccontami una favola”.
La storia incominciò:
C’era una volta un re…
Si continua all’infinito.

Non era una ninna nanna anche se talvolta la usava come tale, cantilenando







POESIE DI NATALE


LA CAPANNA
Tutti vanno alla capanna,
per vedere cosa c’è.
C’è un bambin che fa nanna
nelle braccia della mamma.
Oh! Se ci avessi un vestitino
lo darei a quel bambino!
Il vestitino non ce l'ho,
tutto il mio cuore gli darò!


LA NOTTE DI NATALE
La notte di Natale
è nato un bel bambino
bianco, rosso e ricciolino.
Maria lavava,
Giuseppe stendeva
e il bimbo piangeva
che latte voleva
Non pianger, mio figlio
che adesso ti piglio;
pane non ho
ma latte ti do.
La neve sui monti
cadeva dal cielo
e Maria col suo velo
copriva Gesù.

LA MIA MAMMA PER NATALE
La mi mama per Nadêl
La m’à prumess e’pân speziêl,
di zucarén e dal zambëli
e tânt ètar ròbi bëli.
La mi à prumess a cundiziòn
Ch’impares un bël sarmòn.
Tota nòta a l’ho sugnè
Stamaténa am sò alzè
e sarmòn a l’ho imparè.
A j ò det e mi sarmunzén
mama, mama dam i zucarèn.
Traduzione:
La mia mamma per Natale
mi ha promesso il pan speziale
zuccherini e ciambelle
e tante altre cose belle.
Mi ha promesso a condizione
che imparassi un bel sermone.
Tutta la notte l’ho sognato,
stamattina mi sono alzato
il sermone l’ho imparato.
Ho detto il mio sermoncino
Mamma, mamma dammi lo zuccherino.
QUESTA NOTTE A MEZZANOTTE
Sta nota a mezanòt,
un’ora préma de bòt,
l’è nêd un Babinèl,
tra e bò e sumarel.
Con e su respir il schelda,
San Jusèf l’è le cu guêrda;
la su mama lal fàşa,
la i strènz i su pidin
Gesù mio, che bel mimin!
A l’è d’intòran, tôt fa ligria,
tôt j adòra e Babinèl;
i pastùr i sona la piva,
la piva e ancora e i pivén,
i fa ligrèza a e’bel Bambén.
È sarmòn a l’ho finì:
mama, dasi un bajòch,
o dasimân du, se un uv pè tròp!

Traduzione
Stanotte a mezzanotte
un’ora prima del “botto” (l’una)
è nato un Bambinello
tra il bue e l’asinello.
Con il loro respiro lo riscaldano,
San Giuseppe è lì che lo guarda, la sua mamma lo fascia
gli stringe i suoi piedini:
Gesù mio, che bel Bambino.
Lì intorno, tutti fanno festa,
tutti adorano il Bambinello,
i pastori suonano la piva
la piva e lo zuffolino
fanno festa al bel Bambino.
Il sermone l’ho finito
Mamma datemi un baiocco
o datemene due, se uno vi sembra troppo.





VARIE



LA SETTIMANA LAVORATIVA.
Il Lunedì, che è il dì dopo la festa,
ahi! Che mal di testa non posso lavorar.
Il Martedì preparo gli strumenti,
Ah! Che mal di denti non posso lavorar.
Mercoledì mi metto sulla soglia
ad aspettar la voglia che avrò di lavorar.
Il Giovedì è dì di benedizione,
mi metto in devozione e non posso lavorar.
Il Venerdì, sarebbe il giorno buono,
ma per un giorno solo che vado a lavorar?

LA SETTIMANA LAVORATIVA 2
Lunedì, non mi svegliai,
Martedì, non lavorai.
Mercoledì, persi la rocca.
Giovedì la ritrovai.
Sabato mi lavai la testa.
Domenica, non potei filar perché era festa.

CANZONATURA
Michele, Michele
Che mangia le candele
Le mangia senza pane
Scoreggia come un cane,
il cane si rivolta,
scoreggia un’altra volta.

Naturalmente il nome cambiava a seconda delle circostanze e al posto delle candele si metteva un alimento che facesse rima col nome di chi si voleva canzonare.

DIMMELO E DAMMELO
Dimmelo e Dammelo
vanno in guerra.
Muore Dimmelo
chi ci rimane?
Se l’interlocutore rispondeva: “Dammelo”. Gli si mollava un ceffone. Se invece faceva il tonto e diceva “Dimmelo gli si diceva”. Scemo” ma lo scherzo non era riuscito

LO SBADIGLIO
E sbadaj l’è de vilén:
o cla sëda o cla féma
o cla mêl e u ne po’dì,
o cla són e un po’durmi

Traduzione:
Lo sbadiglio è del villano:
o che ha sete o che ha fame
o che ha male e non lo può dire
o che ha sonno e non può dormire.

DIALOGO FRA S. ANTONIO E IL CONTADINO
Sant’Antonio abate
senza moglie come fate?
E voi che ce l’avete come fate a mantenerla?
Con un aglio e una cipolla
io mantengo figli e moglie.

TRE PULCINI ANDARONO A SPASSO
Tre pulcini andando a spasso
incontrarono una volpe
che veniva passo, passo.
Leggicchiava il suo giornal:
Buona sera, signorina.
Disser subito i pulcin.
Oh salute, miei carini!
e di bello che si fa?
Poiché mamma è andata fuori,
siamo usciti dal pollaio!
Vogliamo fare un po’i signori
E girare qua e là!
Bravi, bravi per davvero,
voglio stringervi la mano!
Sì dicendo, s’appressò
E glu, glu se li mangiò.


QUANTE BELLE FIGLIE, MADAMA DORÉ
Oh quante belle figlie, Madama Doré,
oh quante belle figlie.
Son belle e me le tengo, scudiero del re,
son belle e me le tengo.
Il re ne domanda una, Madama Doré,
il re ne domanda una.
Che cosa ne vuol fare, scudiero del re,
che cosa ne vuol fare?
La vuole maritare, Madama Doré,
la vuole maritare.
Con chi la maritereste, scudiero del re,
con chi la maritereste?
Col principe di Spagna, Madama Doré,
col principe di Spagna.
E come la vestireste, scudiero del re,
e come la vestireste?
Di rose e di viole, Madama Doré,
di rose e di viole.
Prendete la più bella, scudiero del re,
prendete la più bella.
La più bella l'ho già scelta, Madama Doré,
la più bella l'ho già scelta.
Allora vi saluto, scudiero del re.
Allora vi saluto.

Più che una filastrocca era una canzoncina cantata dalle bambine quando giocavano da sole, nei miei ricordi è sempre associata ad un girotondo.

IL PARADOSSO E LA DURA REALTA'
Quând a s’era piò zninin
andeva fora con un ninin.
Quând a s’era piò grandot
andeva fora con set o ot.
Andeva zö par la végna
par fei magné dla gramégna.
U vén fora e mi padron
con n’ha stanga e un baston
e u taca ad mnem zö in te gropon.
Me a veg a cà pianzend pianzend,
la mi mà la ja fat e bustrengh,
l’ha mna dè un pez: an l’ho vlùt
l’ha mla daset un piat: osta sa l’ho vlù!
A l’ho mess in te camén
u m l’ha magnè e mi ninén.
A l’ho mess in tla cassaza,
u m l’ha magnè la mi cagnaza.
A vegn zö in tla stalaza,
lè morta la cavalaza.
cun la pèla a fén tambur,
cun la coda a fén un sciadur.
Taca a tanburé!
taca a s-ciaduré!
töt al veci l’is dà da fè
selta una, selta dè, selta tre.
La piö quajona la s’amazèt.
U vèn föra du zambelt
chi baleva a cul avert.
U vén föra de vìciazi
c’al baléva sénza al s-ciafi,
u vén föra du viciun
chi balëva sénza i calzun.
Traduzione
Quando era piccolino
andavo a pascolare un maialino.
Quando ero più “grandotto “
ne pascolavo sette o otto.
Andavo giù per la vigna
per fargli mangiare la gramigna.
Venne fuori il mio padrone
con una stanga ed un bastone
e cominciò a menarmi nel “groppone”.
Andai a casa piangendo piangendo
La mia mamma aveva fatto il “bustrengo”, (dolce contadino)
me ne ha dato un pezzettino: non l’ho voluto,
me ne ha dato un piatto: osta se l’ho voluto!
L’ho messo nel camino
e me l’ha mangiato il mio maialino.
L’ho messo nella cassaccia
e me l’ha mangiato la mia cagnaccia.
Vado giù nella stalla
ed è morta la cavalla.
Con la pelle faremo un tamburo.
Con la coda faremo un mattarello.
Attacca a tamburare!
Attacca a “mattarellare “!
Tutte le vecchie si danno da fare.
Salta una, saltano due, saltano tre.
La più cogliona si ammazzò.
Vennero fuori due ragazzotti
che ballavano a culo scoperto.
Vennero fuori due vecchiacce
che ballavano senza le ciabatte.
Venne fuori due vecchioni
che ballavano senza calzoni.

Anche le filastrocche che appaiono più sconclusionate mantengono un rapporto con la realtà e il vissuto quotidiano, questa ci parla della vita difficile di bambini che fin da piccoli sono gravati dal lavoro. La filastrocca procede entrando sempre più nel paradosso e sembra dirci che la vita appare al bambino dura e incomprensibile: il padrone che lo mena sul groppone e più odioso, ma non è meno assurdo delle vecchie che ballano senza ciabatte. Comunque bisogna “tirare avanti “e prendere la vita alla “meglio che si può”.