venerdì 14 giugno 2019

L'8^ Brigata Garibaldi "Romagna" a Pieve di Rivoschio.


Anche quest'anno, nel corso dalla manifestazione che si svolge a Pieve di Rivoschio per ricordare l'8^ Brigata Garibaldi, mi è stato chiesto di illustrare ai presenti i pannelli storici posti in questa località. Pieve di Rivoschio è uno dei luoghi topici della Resistenza in Romagna. Fu uno dei primi luoghi in cui cominciarono a costituirsi i primi nuclei partigiani poi, dopo la riorganizzazione della Brigata  seguita al rastrellamento dell' aprile 1944, luogo in cui  si insediò il Comando. 

Sono stato per la prima volta a Pieve di Rivoschio quando ero già adulto, tuttavia appartiene ai ricordi della mia infanzia attraverso i racconti di mia madre, partigiana dell' Ottava. Per la precisione il nome era declinato in romagnolo "Pieva d'Arvost", linqua usata in famiglia. Talvolta, dalla in cima del monte dove abitavamo, indicava un cucuzzolo lontano dicendo: "Ecco là dietro a Giaggiolo, c'è Pieve di Rivoschio". In non capivo a quale cucuzzolo si riferisse e col tempo il luogo aveva assunto una patina di luogo importante e in po' misterioso.

Allego un breve bollettino che ho preparato per i miei acoltatoro prodotto a cura degli amivi di Valpisella





 













martedì 4 giugno 2019

Uomini e/o tacchini L’unione fa la forza

Dal libro: Poi venne la Fiumana di Palmiro Capacci
 
Ero andato “a parenti”, da mia sorella Colomba che si era sposata da poco stabilendosi in un podere a Ravaldino in Monte. I miei genitori mi caricarono sulla corriera a Cusercoli raccomandando al bigliettaio di farmi scendere alla Para e a me dissero di non muovermi da dove ero, di aspettare perché sarebbero venuti a prendermi e cosi avvenne dopo un po’ d’attesa. (Forse noi campagnoli non eravamo così imbranati così come ci dipingevano. Oggi quale bambino di otto anni farebbe altrettanto?)
Erano quelli gli anni in cui la Romagna, (già “terra di Galli” prima della conquista romana) si avviava a diventare la “terra dei polli”, fino ad arrivare a produrre oltre un terzo dei polli da carne dell’intera nazione. Il fenomeno fu particolarmente evidente nella Valle del Bidente, chi aveva possibilità costruiva capannoni utilizzando come pilastri di sostegno i pali in cemento dei filari delle vigne, con pareti in mattoni bucati e tetto in eternit, chi non aveva questa possibilità riempiva scantinati e capanne con gabbie. A Galeata, anche a ridosso della chiesa romanica del Pantano risalente al XIII, secolo fu costruito un capannoncino. Il fenomeno era diffuso nel fondovalle fin dentro i paesi in quanto i poderi posti in alto sulle colline erano inadatti perché carenti di strade ed acqua. Per la prima volta nella storia le deiezioni che finora erano state preziose per la concimazione dei campi divennero un problema e spesso andavano a finire nel fiume.
Colomba in quel periodo stava allevando cinquecento tacchini tenuti allo stato semi brado in un campo recintato, oggi si definirebbe un allevamento biologico. La curiosità era tanta, tanti tacchini insieme non li avevo mai visti. Nelle case coloniche la tacchina c’era sempre, raramente anche il maschio e talvolta qualche tacchinotto in accrescimento. La tacchina serviva principalmente per covare ed allevare la prole altrui, quella delle galline, perché era madre affettuosa, covava contemporaneamente molte più uova, e soprattutto era più forte ed aggressiva quindi più adatta a difendere i pulcini dai vari pericoli: cani, gatti, falchi, bisce, donnole e volpi. 

 
Arrivato sul posto vidi i tacchini in fondo al campo, mi avvicinai e constatai che erano animali già piuttosto cresciuti, mi avvicinai ancora e notai che cominciavano ad agitarsi; all’inizio non ci feci troppo caso, anche i polli starnazzano sempre, poco dopo tutto il branco era in subbuglio. Mi avvicinai ancora, mi aspettavo che scappassero come sono soliti fare gli animali da cortile invece tennero la posizione, anzi passarono al contrattacco e cominciarono ad avvicinarsi lanciando all’unisono il loro grido di guerra che diventava sempre più assordante. Indietreggiai un pochino ma loro continuarono ad avanzare sempre più minacciosi. Affrettai la ritirata, ma anche loro accelerarono il passo e vidi che le ali dello schieramento nemico si allungavano pericolosamente ai miei fianchi, eseguendo una manovra a tenaglia degna dei migliori strateghi militari, temetti l’accerchiamento e mi diedi ad una precipitosa fuga (ritirata strategica); i nemici si lanciarono alla carica, temetti di fare la fine di Custer a Little Big Horn, anche se i pennuti erano diversi erano comunque indigeni americani. Quando, come nei migliori film western, arrivarono finalmente “ i nostri”, Colomba allarmata dallo schiamazzo si era affacciata a guardare e vista la scena mi corse incontro gridando: “Chêvat la brèta! Chêvat la brèta” (Togliti la berretta! Togliti la berretta!). In quel momento feci mente locale: indossavo una berretta rossa e mi ricordai che il rosso fa infuriare i tacchini (evidentemente perché sono esseri stupidi). Me la tolsi e la misi in tasca. Velocemente i tacchini cominciarono a rallentare la loro marcia, il loro rumoreggiare calò rapidamente di tono. Soddisfatti di aver vinto, furono magnanimi, si accontentarono della mia resa: il “maschio invadente” dalla testa rossa era stato sconfitto ed umiliato. Dopo pochi giorni furono caricati sul camion verso il loro destino, fine che avrebbero fatto comunque, ma almeno una volta nella loro vita avevano mostrato di avere carattere ed avevano conseguito una vittoria. Nonostante l’umiliante sconfitta subita, col tempo ho cominciato ad apprezzare quegli animali, pensai che se avevano saputo osare tanto i tacchini gli umani non potevano essere da meno. Ultimamente questa certezza è meno granitica.








Gùstin e la teoria della relatività. L'Einstein contadino



 Santa Sofia


Gùstin (non è il vero nome) era un bracciante di Santa Sofia, tirava avanti come poteva, cercando lavoretti in qua e là, ma non era facile, la disoccupazione era elevata, poi lui non godeva grande fama come lavoratore, era tuttavia simpatico ed a modo suo arguto.

Di lui si raccontavano vari aneddoti ne riporto un paio.

Una volta andò da un proprietario terriero a chiedere se aveva del lavoro da fargli fare, questi rispose: “Che vuoi i tempi sono duri; di lavoro non ce n’è … però un lavoretto ce l’avrei, ma è poca cosa, di breve durata”.

Rispose il nostro personaggio: “ Per me va bene e non preoccupatevi per la durata; ci pensi io a farlo durare”. Se oggi siamo nella “modernità”, Gustin era un personaggio moderno: ha fatto scuola in molti ambiti della società. Lui però era franco.


Si racconta, ancora, che Gùstin (Augusto) fu assunto per eseguire opere di sistemazione idraulica del territorio; mentre stava lavorando con la sua squadra era tenuto d’occhio dal direttore dei lavori che assisteva dalla collina di fronte. A fine turno il responsabile lo chiamò e gli disse: “Ti ho osservato al lavoro e ho notato che andavi piuttosto piano”. Gustin , che aveva notato dove si trovava il direttore nel corso della giornata, gli chiese: “Ma da dove mi ha visto a lavorare?” -Da qui!” Precisò il capoccia. “ Ma allora è tutto chiaro, – precisò il nostro protagonista – mi avete visto da lontano e da lontano tutto sembra che vada più lentamente. Prendete ad esempio gli aerei, visti da terra sembra che vadano piano piano, invece vanno velocissimi che sfiondano”. In effetti.




E Marescial (altro soprannome non corrispondente al vero) sempre di Santa Sofia aveva invece un carattere totalmente diverso, era un gran lavoratore, molto capace: univa una visione d’insieme dei problemi della azienda ad un grande senso pratico. Lavorava per una importante azienda locale ed era diventato l’uomo di fiducia del proprietario, un vero “fac totum”. Essendo persona disponibile, aveva finito per essere sempre impegnato, notte e dì, nei giorni feriali ma anche in quelli festivi. Raggiunta una certa età con ormai decenni di lavoro alle spalle, cominciò a riflettere sul senso della sua esistenza.
Un domenica fu chiamato dal proprietario per far fonte ad un imprevisto sorto in azienda, risolto il problema si rivolse al titolare e gli disse: “Signor padrone vi devo dire una cosa” - “Dimmi Zuanin!” – “Ho deciso che mi licenzio”. Il proprietario con l’aria sorniona e furbetta di chi sa come vanno le cose del mondo e sa capire i suoi uomini, ribatté: “Ho capito! Non ti basta la paga

. Vuoi un aumento. Beh, possiamo metterci d’accordo.” Il nostro uomo si spiegò meglio: “ No, non mi avete capito, di soldi me ne date anche troppi, è il tempo di spenderli che mi manca”. Il nostro uomo si licenziò veramente e ricominciò a vivere, a frequentare conoscenti e parenti, a frequentare l’osteria e la piazza del paese e di tanto in tanto fare qualche lavoro, perché il lavoro quando non è alienate è una grande componete della vita.