STALIN II e il giovane militante.
Frequentava
abitualmente la Casa del Popolo e, specialmente quando aveva un po’ bevuto,
praticamente sempre, dichiarava a gran voce che lui era Stalin Secondo. Non ne
aveva per la verità il fisico del ruolo: era un anziano piccolo, magrissimo; i
baffi li aveva, ma non erano dei baffoni come quelli di Josip Ziugasvili. Oltre
ai baffi un po’ rossicci e un po’ grigi, aveva sempre la barba lunga un paio di
millimetri, mai più lunga, mai rasata; come ciò potesse essere non era
spiegabile, certo non era sua intenzione anticipare una moda che sarebbe venuta
fuori solo dopo diversi anni.
Vestiva
sempre con una giacca di panno piuttosto pesante, anche in piena estate,
d’inverno aggiungeva una sciarpetta similseta al collo. In testa portava sempre
il cappello a falde di feltro del tipo in uso ai romagnoli oltre mezzo secolo
prima.
Tutti
lo chiamavano Stalin tralasciando la numerazione, ben pochi ricordavano il nome
vero. Naturalmente era iscritto al Partito, ma non veniva mai chiamato a
svolgere una qualche attività, lo si lasciava parlare, ma nessuno lo prendeva
sul serio, se c’era qualche estraneo in ascolto, ci si premuniva di prenderlo
da parte per spiegargli che Stalin era un tipo certamente caratteristico, ma
che era un buon uomo e soprattutto si precisava che assolutamente non
rappresentava l’opinione del Partito.
Arrivò
il 1975, l’anno in cui avvenne il grande balzo in avanti del P.C.I. alle
elezioni amministrative. Al lunedì sera, anche se lo spoglio delle schede non
era terminato, si aveva già cognizione della grande vittoria elettorale. I
seggi furono chiusi per essere riaperti l’indomani o per proseguire nelle
operazioni di scrutinio. Nei militanti lo stato d'euforia era palpabile, “si
tagliava a fette”. Dal “Nazionale” fu diramata una circolare riservata alle
Federazioni, in cui si esprimeva preoccupazione per possibili provocazioni e
colpi di mano dei fascisti contro i seggi elettorali. Il Partito andava
mobilitato per sventare ogni tentativo reazionario contro la democrazia e la
volontà popolare.
Va
ricordato che nel clima di quegli anni, quest’ eventualità appariva tutt'altro
che astratta, si era nel pieno della strategia della tensione, c’era stata Piazza
Fontana, i fatti di Reggio Calabria e in tutti era vivo il ricordo del colpo di
stato dell'11 settembre 1973 avvenuto in Cile. Fra i militanti era radicata la
convinzione che il capitalismo fosse democratico finché le elezioni erano vinte
da partiti che non mettevano in discussione il sistema e i comunisti di allora,
nonostante la proposta del “Compromesso Storico”, mettevamo in discussione il
“sistema”, volevano rivoluzionare la società seppur con metodo democratico e le
lotte di massa. Forse, anzi certamente, non tutti gli iscritti avevano ancora
una tale volontà rivoluzionaria, ma chi non metteva già più in discussione la
società esistente e si sarebbe accontentare di migliorarla o perlomeno di
viverci nei migliori dei modi, teneva ancora un profilo basso nell'attesa che
arrivasse il loro tempo.
La
Sezione locale del Partito si mobilitò immediatamente. Il Comitato di Sezione
si convocò in una riunione informale: fu un incontro breve perché i compagni
che erano stati nei seggi erano stanchi e poi non c’era bisogno di discutere le
direttive del Nazionale, se erano state emesse avevano ragion d’essere ed
andavano attuate, si doveva solo decidere come farlo. Si convenne di presidiare
i nostri seggi dall’alto del tetto terrazzato della Casa del Popolo da cui si
godeva un'ottima vista dell’ingresso della scuola in cui erano collocati. La
riunione si tenne nel bar e i discorsi furono uditi da Stalin che prontamente
si offrì come volontario; non gli si poteva dirgli di no, se non altro per
motivi di cortesia, fu quindi preso nell’improvvisata squadra della vigilanza
democratica. I compagni si lasciarono per tornare a casa per mangiare qualcosa,
per informare la famiglia, per prendere su una maglia pesante. L’appuntamento
per iniziare la guardia fu fissato a mezzanotte.
Anche
Palmiro, il giovane segretario del locale circolo dei giovani comunisti, si
presentò volontario. Avrebbe avuto tutti i motivi per essere esonerato in
quanto dopo un paio di settimane avrebbe dovuto sostenere l’esame di maturità,
fino a quel momento aveva partecipato fino allo spasimo alla campagna
elettorale ed era decisamente in ritardo con lo studio, ma voleva esserci,
pensò che l’interesse particolare non dovesse prevalere su quello generale. Nel
momento del bisogno un comunista non si tira indietro: la storia bussava alle
porte della nazione ed era questo che contava; si poteva cominciare a studiare
il giorno successivo.
La
madre del giovane segretario non fu troppo contenta di questa sua scelta, gli
chiese se ci fosse proprio bisogno anche della sua partecipazione, ma si limitò
alla raccomandazione di stare attento perché coi fascisti non si scherzava, lei
lo sapeva bene avendoli combattuti trenta anni prima come partigiana nelle
Brigate Garibaldi. Palmiro d’altronde non portava quel nome per caso.
Nonostante
che i molti compagni impegnati nei seggi fossero esonerati dalla vigilanza
perché la mattina dopo avrebbero dovuto essere ben svegli per non farsi
“fregare” un solo voto e che altri la mattina successiva avrebbero dovuto
recarsi al lavoro, a mezzanotte si trovarono in parecchi su quel tetto. Quasi
tutti avrebbero fatto tutta una tirata: quando smontavano dalla vigilanza
sarebbero andati direttamente al lavoro, gli altri sarebbero rimasti a supporto
dei compagni impegnati nei seggi e verso sera era già nel conto che sarebbero
tutti convenuti nella piazza di fronte alla Federazione del Partito per
festeggiare. Con la fede e l’adrenalina che erano alle stelle il fisico avrebbe
sicuramente retto.
All’appuntamento
arrivò anche Stalin che aveva portato con sé un sacco di iuta, giunto sul
terrazzo l'aprì e tirò fuori la doppietta da caccia con le relative munizioni a
pallini grossi, come tenne a precisare. mentre si accingeva a caricare l’arma
il segretario del Partito gli ordinò di riportarla subito a casa, al che lui
sorpreso e irritato replicò: “Che facciamo a fare la guardia senza fucile?
Se vengono i fascisti come li affrontiamo? Gli urliamo dietro... gli
mandiamo dei "cancheri"... ?" Stalin II si allontanò con la
sua doppietta mugugnando per non tornare più. Mentre si allontanava lo si udì
brontolare che lui le cose le faceva seriamente o non le faceva affatto e che i
comunisti ormai non avevano più la tempra di una volta: si stavano
imbastardendo.
Le
sue osservazioni diedero da pensare al giovane militante. Già se fossero
arrivati i fascisti come li avrebbero affrontati? Probabilmente non avrebbero
corso grossi rischi personali, essendosi barricati sul tetto della Casa del
Popolo come antichi guerrieri appollaiati sugli spalti di una rocca, anche se
gli eventuali squadristi dal basso avessero sparato, avrebbero potuto
facilmente ripararsi abbassandosi dietro al cornicione del terrazzo. La
posizione da un punto di vista tattico era ottima per la difesa e
l’osservazione, ma assolutamente inutile per contrastare gli avversari. Non
avrebbero potuto fare nulla, se non telefonare alla polizia, ma questo
l’avrebbero potuto fare anche i militari a guardia dei seggi che peraltro erano
dotati di fucili da guerra e quindi capaci di reagire efficacemente in proprio.
L’unica cosa che in più avrebbero potuto fare era telefonare alla squadra del
Partito che presidiava la Federazione, infatti, ci si premunì affinché il
locale dove era il telefono non fosse chiuso a chiave dal barista.
Durante
le lunghe ore di guardia Palmiro ci pensò su: forse questa volta Stalin non
aveva detto una delle sue solite sciocchezze che tutti ascoltavano con bonaria
commiserazione.
Verso
mattina quando cominciò ad albeggiare e i compagni alla spicciolata
cominciavano a lasciare la postazione, trovò la risposta: la mobilitazione non
serviva tanto ad affrontare e respingere l’eventuale provocazione fascista,
quanto a mantenere vigili e scattanti i militanti, insomma quella guardia al
seggio era una utile ginnastica rivoluzionaria.
Il
giovane assorto nei suoi pensieri guardava affascinato il sol dell’avvenire che
sorgeva lento ed inarrestabile all’orizzonte a scacciare poco a poco le tenebre
per risvegliare il mondo a nuova vita. Non distaccò mai lo sguardo da quella
visione e non s’avvide che alle sue spalle, nella parte ancora oscura ed
incognita del cielo, poco alla volta banali nuvole si addensavano, finché
giorno dopo giorno avrebbero finito per oscurare le speranze di quell'alba.
Decenni
dopo quei momenti esaltanti erano rimasti impressi nella mente e nello spirito
dell’ormai non più giovane militante, spesso ci ripensava con nostalgia, mai
con rimpianto, questo lo riservava tutto ai periodi successivi. Ripensava anche
a Stalin II, a quella notte e a quell’alba limpida, gravida di promesse e
speranze. Provava rammarico per le speranze andate deluse, ma ancor più per la
solitudine di chi, nonostante tutto resisteva nel volerle coltivare. Anche Stalin
con la sua "schioppa" era scomparso.ormai da tanto tempo. Il ricordo
si tramutava in melanconica nostalgia, ma la vita continua e allora cacciava
via tutti questi pensieri con una considerazione amena: "Forse
bisognava fare più ginnastica."
Ricordo di Palmiro Capacci
Federazione Giovanile Comunista 1977
Mauro Cappelli e Palmiro Capacci
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