FILASTROCCHE,
CONTE E SIMILARI
dal libro: "C'era una volta ... anzi appena ieri".
di Palmiro Capacci
Ho
riportato solo le filastrocche che da bambino cantilenavo giocando o
che ho sentito dire da parenti, amici e conoscenti delle nostre zone:
Valle del Bidente, del Rabbi e del Borello. Si tratta quindi di una
rappresentazione parziale di una determinata area e periodo
temporale, volutamente non ho inserito quelle trovate in altre
pubblicazioni, anche se in alcuni casi me ne sono avvalso per
completare quelle in cui il ricordo era parziale.
Le
filastrocche, le “conte”, i proverbi, le ninna nanna e le fiabe
appartengono comunque ad una cultura popolare che si trasmetteva da
luogo a luogo eventualmente cambiando dialetto o particolari di una
comune trama anche in regioni molto distanti fra loro.
Le
filastrocche per loro natura sono facili da ricordare, e generalmente
la trasmissione avveniva da bambino a bambino. A differenza delle
poesie più astratte che a scuola si dovevano imparare a memoria, le
filastrocche anche quando non erano di facile comprensione avevano un
diretto legame alla vita quotidiana ed erano più soggette a
rinnovarsi e a reinventarsi seguendo le trasformazioni sociali e di
costume.
Con
una maggiore scolarizzazione e coi giochi di gruppo negli asili
infantili e nelle colonie, il dialetto lasciò il posto all’italiano,
ma nei cortili o nelle aie contadine spesso i due idiomi si
intrecciavano con l’apporto di varianti o aggiunte determinate
dalla creatività dei bambini. Si noterà che alcune delle
filastrocche riportate hanno una chiara origine scolastica, un
bambino le leggeva nel sussidiario, ma poi se gradite le memorizzava
e le trasmetteva ai coetanei.
Molte
filastrocche della nostra terra si sono perse e nel dopoguerra altre
hanno sostituito quelle della cultura arcaica. Non è un caso che i
testi riportati siano in gran parte in lingua italiana poiché il
periodo storico di riferimento è quello della seconda metà del
secolo scorso, periodo di profonda trasformazione e di crisi in cui
la “cultura romagnola “sempre più si omologava al pensiero unico
della società consumistica. Tuttavia la storia non passa invano e
qualcosa rimane sempre anche se sotto traccia ed è per non perdere
il senso della nostra storia personale e collettiva che ricordo
queste filastrocche che fanno parte del nostro patrimonio culturale e
storico.
FILASTROCCHE
LA
SDENTATA
La
sdintêda la fa i turtël
e
la’n dà gninta a i su fradël.
I
su fradël i fa la piëda
e
in dà grinta ala sdintëda
La
filastrocca veniva recitata solo in dialetto. Spesso al posto dei
suoi fratelli c’erano i figli: “i su burdel”, tuttavia capitava
di sentire anche la versione italiana con Zucca pelata al posto della
Sdentata e la frittata al posta della piada.
Traduzione:
La
sdentata fa i tortelli
E
non da niente ai suoi fratelli.
I
suoi fratelli fan la piada
e
non danno niente alla sdentata.
CHICCHI
RIVOLTA
C'era
una volta
Chicchi
rivolta
che
rivoltava i maccheroni
e
se la fece nei calzoni.
La
sua mamma lo sgridò,
e
lui ne fece
un
altro
po’.
A
mandarlo
in paradiso,
si
mangiava tutto il riso.
A
mandarlo in purgatorio,
si
beveva tutto l’olio.
A
mandarlo all’inferno,
finalmente
stava fermo
TIRINDINA
Tirindéna
pân buffet
met
la cêva in te caset!
Tirindéna
pân bufon
Met
la ceva in te cason!
Met
la cêva in tla canténa
ca
fasèn la tirindèna!
Metla
ad qua, metla ad là
Chicadun
u la troverà.
Traduzione:
Tirindina
pan buffet
metti
la chiave nel cassetto!
Tirindina
pan bufon
metti
la chiave nel cassone!
Metti
la chiave nella cantina
che
facciamo la tirindina!
Mettila
di qua, mettila di là
Qualcuno
la troverà.
Come
mostra la mancanza di rima veniva recitata solo in dialetto. Cosa
fosse la tirindina non mi è dato sapere, era comunque un evento festoso, il pan buffet era un pane
francese molto bianco e morbido, quindi una squisitezza
nell’immaginario del contadino che consumava un pane più duro,
cotto una volta alla settimana.
In
sostanza nelle case povere si tenevano gli alimenti più pregiati (a
volte anche il pane) sotto chiave e si esprime il desiderio di
trovare la chiave per far festa.
LA
CAMPĖNA AD SAN SIMON. (versione 1)
La
campéna ad Sân Simon
j
era in tri chi la sunëva,
pân
e vèn j guadagnëva,
j
guadagnëva un për ad gapun
da
purtè ai su padrun.
I
su padrun in n’era a cà.
U
j era da la Ruséna mata
clà
faşeva
e pân con al zémpi de cân
e
cân l’era un po’vëcc
e
u steva sêt e lêt.
E
lêt l’era un po’bas
e
ui steva ânca e gat.
E
gat l’era in camïsa
… e
i s-ciupeva tôt dal rïsa.
Traduzione:
La
campana di San Simone
erano
in tre che la suonavano,
guadagnavano
pane e vino,
guadagnavano
un paio di capponi
da
portare ai loro padroni.
I
loro padroni non erano a casa.
Erano
dalla Rosina matta
che
faceva il pane con le zampe del cane.
Il
cane era un po’vecchio
e
stava sotto il letto.
Il
letto era un po’basso
e
ci stava anche il gatto.
Il
gatto era in camicia
….
e scoppiavano tutti dalle risa.
Le
filastrocche viaggiano e si trasformano molto. Pensi che sia
originale della tua terra poi ne trovi una simile magari della parte
opposta d’Italia, oppure capita che vi siano varianti anche nello
stesso luogo. La versione sopra riportata mi è stata trasmessa da
mia sorella Colomba. Nel libro “Voce di donne: storia di paese.
Cusercoli 1881-2006” di Germana Cimatti e Alba Piolanti di
Cusercoli la signora Elena Bonetti (Lina) racconta la seguente
versione:
LA
CAMPĖNA AD SAN SIMON. (versione 2)
La
campéna ad Sân Simon
j
era in tri chi la sunëva,
pân
e vèn j guadagnëva,
j
guadagnëva un për ad pizun
per
purtè a e su padrun.
E
su padrun un gnera,
u
j'era la ziì Sénta
cla
faseva la torta biânca,
uj
ne caschet un pezzetin.
L’hai
caschet sôta e tavlin
e
tavlin l'era un po’bus.
E
di sotto c'era un bus.
Un
bus tutto forà.
E
di sotto c'era un prà.
Un
prà tutto fiorit
con
tre dame da marit
Una
la cuce, una la taglia
Una
fa il cappel di paglia
per
portarlo alla battaglia.
Una
la fa il cappel di piomb
per
girare tutto il momd.
Quando
il mondo fu girat
il
cappello fu stracciat.
Interessante
notare come questa versione inizi in dialetto e si concluda in
italiano con qualche inflessione sanpierana Non è un caso unico:
l'italiano entrava sempre più nella cultura popolare e talvolta
conviveva col dialetto nello stesso racconto o filastrocca.
LA
VECCHINA PICCINA PICCIÒ
C’era
una volta una vecchina
piccina,
piccina picciò
che
abitava in una casina
piccina,
piccina picciò
e
aveva una gallinina
piccina,
piccina picciò
che
fece un ovino
piccino,
piccino picciò.
E
la vecchina
piccina,
piccina picciò
con
una padellina
piccina,
piccina picciò.
fece
una frittatina
piccina,
piccina picciò.
Arrivò
un moscone tutta gliela mangiò.
La
vecchina andò a protestare dal podestà.
Gli
disse: signor podestà
Avevo
una gallinina
piccina,
piccina picciò
che
m’ha fatto un ovino
piccino,
piccino picciò
e
con una padellina
piccina,
piccina picciò
mi
son fatta una frittatina
piccina,
piccina picciò.
L’è
arivàt un moscone che tutta me la mangiò.
Signor
Podestà che fò?
Il
podestà le rispose:
“Cara
donnina se vedete il moscone
prendete
una ciabatta e schiacciatelo”.
Il
quel momento il moscone
sul
naso del podestà s’adagiò.
La
vecchina prese una sua ciabatta
e
una gran botta sul naso gli mollò.
PIOVE
E
piöv, e piöv
e
la gata la fa l’öv,
la
fa l’öv in tla canténa
tira
la coda a la biréna.
Traduzione:
Piove,
piove
la
gatta fa le uova,
fa
l'uovo nella cantina,
tira
la coda alla tacchina.
CHI
FA LA SPIA
Chi
fa la spia
un
n’è e fiöl ad Maria
un
n’è e fiöl ad Gesù
e
quând us mör u va lazò (o zò, zò).
U
va lazò da cl’umäz
cus
ciéma giavuläz.
Traduzione:
Chi
fa la spia non è figlio di Maria,
non
è figlio di Gesù
e
quando muore va laggiù (o giù, giù)
Va
laggiù da quell’omaccio
che
si chiama diavolaccio.
Con
questa rima si canzonavano gli spioni. Si declamava quasi sempre
nella versione italiana, in dialetto solo, ma non sempre, quando si
era in ambito familiare.
CICCIO
BOMBA CANNONIERE (o CAVALIERE)
Ciccio
Bomba cannoniere
con
tre buchi nel sedere,
con
tre buchi nella pancia,
Ciccio
Bomba vola in Francia,
ma
in Francia c'é la guerra
Ciccia
Bomba va per terra.
Di
solito era una presa in giro dei bambini ciccioni e gli ultimi due
versi venivano spesso tralasciati.
CHICCOLINO
Chiccolino,
dove stai?
Sotto
terra, non lo sai?
E
là sotto cosa fai?
Dormo
dentro la mia culla.
Dormi
sempre, ma perché?
Voglio
crescer come te.
E
se tanto crescerai,
Chiccolino,
che farai?
Se
tanto crescerò,
tanti
chicchi ti darò.
SEGA
MULEGA
Sega
mulega,
il
babbo va a bottega,
la
mamma fa gli gnocchi,
e
il bimbo fa i balocchi.
Variante
raccolta nella zona di Forlimpopoli
Sega
mulega
Il
babbo va in bottega,
la
mamma lavora,
domani
è festa
e
si mangia la minestra.
La
minestra non è cotta
e
si mangia la ricotta.
La
ricotta non è condita
e
si mangia l'ortica.
L'
ortica fora
e
domani si lavora
LUMACA
LUMACHINA
Lumêga,
lumagnina
tira
föra al tu cornina.
una
par te
una
par me
si
no at met in padëla
te
e la tu surëla.
Traduzione:
Lumaca
lumachina
tira
fuori le tue cornine.
una
per te
una
per me
altrimenti
ti metto in padella
te
e tua sorella.
LA
BEFANA
La
Befana vien di notte,
con
le scarpe tutte rotte,
col
vestito alla romana.
Viva,
viva la Befana!
Una
versione più completa raccolta a Forlì recitava:
La
Befana vien di notte
con
le scarpe tutte rotte,
con
la cuffia e la sottana
viva
viva la Befana!
Con
la cuffia rossa e blu
fichi
e noci butta giù
e
riempie la calzina
Mò!
Che brava la Befanina.
PIRULIN
CHE PIRULAVA
Pirulin
che pirulava
senza
gambe camminava,
senza
culo si sedeva
dimmi
un po’come faceva?
È
un indovinello. A voi la risposta.
PIRULIN
PIANGEVA
Pirulin
Pirulin piangeva,
mezza
mela voleva;
sua
mamma non l’aveva.
Pirulin
Pirulin piangeva,
A
mezzanotte in punto
passo
un aeroplano
E
di sotto c’era scritto:
“Pirulin
sta zitto!”
CASA
MIA
Casa
mia, casa mia,
per
piccina che tu sia,
per
il brutto o per il bello,
mi
sei più cara d’un castello.
Gli
ultimi due versi venivano anche sostituiti con: "tu mi sembri
una badia. da piccplo mi chiedevo cosa mai fosse una badia e non
trovavo chi sapesse spiegarmelo.
SILENZIO
PERFETTO
Silenzio
perfetto,
la
mano sul petto,
chi
dice parola,
va
fuori di scuola
Recitata
a scuola con un chiaro intento ironico verso i maestri.
FILASTROCCA
DEI NUMERI
UNO:
figlio di nessuno.
DUE:
figlio del bue.
TRE:
figlio del re.
QUATTRO
figlio del gatto.
CINQUE:
siete tutte tinche.
SEI:
asino che sei.
SETTE:
il pane a fette.
OTTO:
asino cotto.
NOVE:
ti do le prove.
DIECI:
pane e ceci.
PIO,
PIO, PIO.
Lunedì
chiusin chiusino,
martedì
bucò l'ovino,
sgusciò
fuori mercoledì,
“ Pio,
pio, pio” fà giovedì,
venerdì
fa un volettino,
beccò
sabato un granino
e
la domenica mattina
aveva
già la sua crestina.
SAN
MICHELE
San
Michele aveva un gallo
bianco,
rosso, verde e giallo
e
per farlo cantar bene
gli
dava latte e miele.
LA
PIGRIZIA ANDÒ
AL MERCATO
La
pigrizia andò al mercato
ed
un cavolo comprò.
Mezzogiorno
era suonato
quando
a casa ritornò.
Prese
l’acqua, accese il fuoco,
si
sedette e riposò…
Ed
intanto a poco a poco,
anche
il sole tramontò.
Così,
persa ormai la lena,
sola
al buio ella restò
ed
a letto senza cena
la
poverina se ne andò.
PIGRIZIA
E IL CAFFÈ
Pigrizia
tu vò un cafè?
Se
grazie, al toj vlunter.
O
pigrizia, alora tò una täza.
No
grazie la voja la mè pasa…
Traduzione:
Pigrizia
vuoi il caffé?
Sì
grazie, lo prendo volentieri.
Pigrizia,
allora prendi una tazza.
No
grazie, la voglia mi è passata…
LE
OCHETTE DEL PANTANO
Le
ochette del pantano
vanno
piano piano,
tutte
in fila come fanti,
una
dietro e l'altra avanti,
una
si pettina,
l'altra
balbetta
con
voce bassa
la
stessa parola,
una
sull'acqua
con
una barchetta,
fatta
di un foglio
di
libro di scuola.
LA
VISPA TERESA
La
vispa Teresa
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa! L’ho presa!”.
A
lei supplicando
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.
l’afflitta gridò:
“Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!”.
Teresa
pentita
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.
allenta le dita:
“Va’, torna all’erbetta,
gentil farfalletta”.
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.
Più
che una filastrocca era una canzoncina piuttosto diffusa cantata
dalle bambine. È forse l’unico testo in cui si possa risalire
all'autore. Questo è il testo originale, ma vi sono molte versioni
con leggere varianti.
VOLTA
LA CARTA
C’è
la donnina che semina il grano
Volta
la carta e si vede il villano.
il
villano che zappa la terra
Volta
la carta e si vede la guerra,
la
guerra con tanti soldati
Volta
la carta e si vede i malati,
i
malati con tanto dolore.
Volta
la carta e si vede il dottore
il
dottore che fa la ricetta.
Volta
la carta e si vede Concetta
la
Concetta che fa i bigodini.
Volta
la carta e ci sono tanti bambini
i
bambini che van per i campi.
Volta
la carta e si vedono i lampi,
i
lampi che fanno spavento
Volta
la carta e si vede il convento,
il
convento coi frati in preghiera
Volta
la carta e si vede la fiera,
la
fiera con burle e con lazzi.
Volta
la carta e si vedono i pazzi,
i
pazzi che cantano a letto.
Volta
la carta e si vede lo spettro,
lo
spettro che appare e va via.
Volta
la carta e si vede Lucia,
Lucia
che fa un vestitino.
Volta
la carta e si vede Arlecchino,
Arlecchino
che fa gli sgambetti.
Volta
la carta e ci sono i galletti,
i
galletti che cantano forte
Volta
la carta e si deve la Morte,
la
Morte che falcia la gente
Volta
la carta e non si vede più niente.
Non
era molto usata dai bambini, la recitavano, più che altro, per
compiacere i genitori e gli adulti in genere.
ALLE
TRE FONTANE
Andai
alle tre fontane
mi
lavai le mani,
mi
cascò l'anello
dal
dito piccirello,
pesca
e ripesca
l'anello
non veniva,
andai
dalle tre sorelle
che
facevan le frittelle,
me
ne dieder solo una
Oh!
Com'era buona!
I
topi per le scale
suonavano
le campane,
e
la gente per la via,
buona
sera signoria!
BIM,
BUM, BAM RATAPLAN
Questa
è la conta del rataplan.
Rataplan
ne conta dieci.
Nove
fagioli e otto ceci,
sette
lenticchie e sei cipolle,
cinque
spinaci e quattro bolle,
tre
patate e due salami.
Questa
è la conta del rataplan.
Ne
manca solo uno,
non
lo vede mai nessuno,
sta
giocando a bim, bum, bam.
Questa
è la conta del rataplan.
LOZLA
LOZLA CAMPANELA
Lózla
lózla campanëla.
Ven
da me ca so la piò bëla,
a
so piò bëla dla fiöla de re.
Lózla
lózla vën da me.
Traduzione:
Lucciola
lucciola campanella.
Vien
da me che son la più bella,
son
più bella della figlia del re.
Lucciola,
lucciola vien da me
LOZLA
LOZLA, GAIA GAIA
Lózla
lózla, gaia gaia
Mèt
la bria a la cavala
La
cavala la j’è de re
Lózla
lózla ven la me
Traduzione:
Lucciola
lucciola, gaia gaia
Metti
la briglia alla cavalla.
La
cavalla è del re.
Lucciola,
lucciola vien da me
LUCCIOLA,
LUCCIOLA VIEN DA ME
Lucciola,
lucciola vien da me
che
ti do un pan del re
il
pan del re e della regina.
Lucciola,
lucciola vien vicina
DIN
DON CAMPANON
Din
Don campanon.
Al
campâni ad Sén Simon
li
sunêva tânt fört
chi
butêva zo al pört
chi
butêva zó e purtôn
Bim,
bum, bam.
Traduzione:
Din
don campanon.
Le
campane di San Simon
sonavano
tanto forte
che
buttavan giù le porte
che
buttavan giù i portoni.
Bim,
bum, bam!
SAN
MARTINO
Sân
Martén dal castagni
cu
vén zó dal muntagni,
u
vèn zó con e caritén.
Viva,
viva Sân Martén.
Traduzione:
San
Martino delle castagne
Che
vien giù dalle montagne,
vien
giù col carettino.
Viva,
viva San Martino!
DMAN
L’È FESTA
Din
don dan.
Ad
dmân l’è festa
Us
magna la minestra,
la
minestra l’an mi piës
us
magna pân e brës.
Al
brës li tropi neri,
us
magna pan e peri,
la
pera la j è tròpa biânca
us
magna pân e pânca,
la
pânca la j è tropa dura
us
va a let adiritura.
Le
vocali â ed é hanno una pronuncia molto simile tanto da mantenere
la rima.
Traduzione:
Din
don dan,
Domani
è festa
si
mangia la minestra,
la
minestra non mi piace,
si
mangia pane e brace.
La
brace è troppo nera,
si
mangia pane e pera,
le
pera è troppo bianca,
si
magia pan e panca,
la
panca è troppo dura,
si
va a letto addirittura.
CECCO
BILECCO
Cecco
Bilecco
infilato
in uno stecco;
lo
stecco si rompe
e
Cecco va nel ponte;
il
ponte si rovina
e
Cecco va in farina;
la
farina si staccia
e
Cecco si sculaccia;
si
sculaccia sodo sodo
e
Cecco va nel brodo;
il
brodo si beve
e
Cecco va nella neve;
la
neve si strugge
… e
Cecco fugge fugge!!!
È
CREPATO L’UOMO NERO
Bimbi
e bimbe fate festa
e
venite alla finestra:
è
crepato l'uomo nero,
è
sepolto al cimitero!
La
paura è ormai finita:
si
comincia un'altra vita.
Bimbi
e bimbe, tutti giù
l'uomo
nero non c'è più
BASTIAN
CONTRARIO
Bastian
contrario dorme di giorno
la
notte lavora o va d'intorno;
mangia
l'acqua, beve il pane,
carezza
il lupo, picchia il cane.
Il
cane stupito gli fa: “miao miao"
e
il gatto seccato gli fa: “bao bao”.
QUATTRO
VECCHIE SUL SOFÀ
Bim
bum bam
quattro
vecchie sul sofà.
Una
che fila, una che taglia,
una
che fa cappelli di paglia,
una
che fa coltelli d'argento
per
tagliare la testa al vento.
Anche
questa è fra quelle sentite nell’infanzia, ma il ricordo è molto
vago.
SOLDATIN
CHE VA ALLA GUERRA
Soldatin
cu và a la guera,
magna
pòc e dorma in tera,
fa
la vita a la cagnèsca,
pöc
e pén e acqua fresca;
quând
e tenp l’è de tambur…
cich,
ciach, bum bum!
PINOCCHIO
IN BICICLETTA
Alla
larga, alla stretta,
Pinocchio
in bicicletta
Alla
pi, alla pò
Pinocchio
se ne andò
se
ne andò sulla montagna
a
prendere una castagna.
Personalmente
ricordavo solo i primi due versi, i bambini li urlavano agli altri
come invito a farsi da parte.
FARFALLINA
Farfallina
bella e bianca
Vola,
vola
e
mai è stanca.
Vola
in qua, vola là
Farfallina
se ne va!
E
poi si posa sopra un fior.
FILASTROCCHE
PER PICCINI
Accompagnate
da azioni verso bambini piccoli
CAVALLINO
RIO RÒ
Cavallino
rio rò
prendi
la biada che ti do.
Prendi
i ferri che ti metto
per
andare a San Benedetto.
San
Benedetto all’osteria
cavallino
trotta via.
Si
prendeva un bambino, lo si metteva a cavallo delle ginocchia e mentre
si recitava la filastrocca lo si faceva saltellare, la versione
originale era più lunga ma ben pochi la ricordano ed io non sono fra
questi.
TIRA
LA SEGA
Tira
la sega,
metla
a e sôl,
quâd
la j è sèca
la
manda l’udôr.
La
filastrocca veniva declamata solo in dialetto. Tenendo un bambino a
cavalcioni sulle ginocchia leggermente aperte, lo si teneva
saldamente per le mani e lo si ondeggiava avanti e indietro mimando
la sega a due mani (e s-gon), prima piano poi sempre più velocemente
aumentando l’ondeggiamento. Verso la fine quasi gli si faceva
toccare la testa per terra.
Tira
la sega,
mettila
al sole,
quando
è secca,
manda
l’odore.
BATTI
LE MANINE
Batti
batti le manine,
che
arriva papà.
Porterà
le chicche
e
il bimbo le mangerà.
La
si recitava ai piccini insegnandogli a battere le mani.
PIAZZA
BELLA PIAZZA
Piäza
bèla Piäza
l’è
pasé la lëvra päza.
Quest
u la j à vësta,
quest
u la j à mazëda,
quest
u la j à scurghëda,
quest
u la j à cusinëda
e
quest clè e piò z’ninin
cle
andè in tla cânténa a to e pân e vén
un
gnè tuchè gnénca un u-sarin.
La
filastrocca veniva declamata in dialetto mimandola sulla mano, prima
strofinando l’intero palmo poi toccando ogni dito, il mignolo lo si
tirava un pochino.
Piazza
bella piazza
è
passata la lepre pazza.
Questo
l’ha vista,
questo
l'ha ammazzata
questo
l’ha scorticata
questo
l'ha cucinata
e
a questo che è il più piccolino
che
è andato in cantina a prendere pane e vino
non
è toccato neanche un ossicino!
BELLA
MANINA
Bella
manina
dove
sei stata?
Dalla
nonnina.
Cosa
ti ha dato?
Pane
e ciccina.
Gratta
gratta la manina
Si
declamava cantilenando ed accarezzando il palmo della mano, si
terminava cambiando tono nell’ultima strofa e si grattava la manina
del bimbo.
LE
DITA DELLA MANINA.
Quest
u dis: “A j ò fâma.
Quest
u dis: “Un gnè n’è”.
Quest
u dis: “Com a farégna”.
Quest
u dis: “A rubarégna”.
Quest
u dis: “No fë, no fë, tut fë lighè.
Sul
palmo aperto della mano si indicava un dito per ogni strofa. Partendo
dal pollice.
Questo
dice; “Ho fame”.
Questo
dice; “Non ce n’è”.
Questo
dice; “Come faremo”.
Questo
dice; “Ruberemo”.
Questo
dice; “Non farlo non farlo che ti fai legare”.
Nel
libro di Carmen Cantarelli “Aj e patédi sòta la brèsa “ho
trovato una versione con l’ultima strofa modificata.
Quèst
u dis: “A j ò fâma.
Quèst
u dis: “Un gnè n’è.
Quèst
u dis: “Com a farégna.
Quèst
u dis: “A rubarégna.
E
quest cl’è e piò znin u dis;
“Gnéc,
gnéch a magnarem e’bréch!”
MANO
MORTA
Mèna
morta, mèna morta, mèna morta…
Peccia
peccia in ‘tla tu bocca.
Che
intla mia uj è la bua,
pècia
pecia in ‘tla tua
Era
un giochetto che si faceva ai bambini di pochi anni. Gli si prendeva
un braccio, si diceva di lasciarlo “andare” lo si muoveva
ripetendo sempre “Mano morta, mano morta…, finché il braccio non
fosse completamente rilassato, a questo punto si cambiava
completamente tono e con un gesto veloce lo si muoveva in modo da
procurare uno schiaffo sulla faccia del bambino mentre si diceva
“picchia nella tua bocca”.
DIN
DON CAMPANON
Ucin
bël, ucin bël
quest’l’è
e su fradël.
Urcina
bëla, urcina bëla
questa
l’è la su surëla.
Quest
lè e purtön di frë.
e
in te mez u j è e campanon cu fa:
“Din
don, din don”.
Si
recitava ai bambini molto piccoli, indicando delicatamente occhi,
orecchie, bocca ed infine, scuotendo più energicamente, il naso.
Occhino
bello, occhino bello
questo
è il suo fratello.
Orecchina
bella, orecchina bella
questa
è la sua sorella
Questo
è il portone dei frati
e
nel mezzo c’è il campanone che fa:
Din
don, din don”.
INDOVINELLO
PER BAMBINI
Siamo
cinque fratellini
tutti
svelti e birichini.
Indovina
un po’chi siam?
Siam…
(Lasciamo
la domanda insoluta così non lo saprete mai).
FILASTROCCHE
PER
GIROTONDI E GIOCHI
LA
BELLA LAVANDERINA
La
bella lavanderina
che
lava i fazzoletti
per
i poveretti
della
città.
Fai
un salto,
fanne
un altro,
fai
la riverenza,
fai
la penitenza.
Fai
una giravolta,
fanne
un'altra volta,
guarda
su,
guarda
giù,
dai
un bacio a chi vuoi tu!
Si
accompagnava ad un girotondo in cui una bambina stava al centro
mimando la lavandaia poi dava un bacio a chi doveva sostituirla.
GIROTONDO
Giro,
girotondo.
Casca
il mondo,
casca
la terra,
tutti
giù per terra.
Ovviamente
era un girotondo in cui alla fine si finiva tutti a terra.
LA
BATTAGLIA DI MAGENTA
C'era
un bel dì
la
battaglia di Magenta.
Che
bel vedere
caricare
i cavalieri.
Cavalieri,
al trotto!
Al
galoppo!
Caricate!
Con
una mano!
Con
due mani!
Con
un piede!
Con
due piedi!
La
filastrocca accompagnava una serie di gesti in cui si battevano mani
e piedi e si rifacevano con i piedi saltellamenti vari. Veniva
ripetuta varie volte con un ritmo sempre più frenetico. Si recitava
specialmente in colonia.
CENTOCINQUANTA
LA GALLINA CANTA
Centocinquanta
la gallina canta,
lasciala
cantare che la voglio maritare;
le
voglio dar cipolla:
cipolla
è troppo forte;
le
voglio dar la morte:
la
morte è troppo scura;
le
voglio dar la luna:
la
luna è troppo bella;
voglio
darle mia sorella:
mia
sorella fa i biscottini
e
li da a tutti i bambini.
Ai
bambini fanno male:
corri,
corri all'ospedale.
L'ospedale
sta lassù,
dagli
un calcio e buttalo giuuuuuuuù
Si
recitava nei girotondo ed alla fine ci si acquattava a terra.
GIGETTO
IN BICICLETTA
Alla
larga, alla stretta
Gigetto
in bicicletta.
“Guardami
mamma!
Senza
freni!
Senza
mani!
Senza
piedi!
Senza…
denti! "
Dalle
nostre parti si raccontava come una barzelletta con Pierino, ma in un
libro l'ho trovata catalogata come filastrocca.
CONTE
AMBARABÀ
Ambarabà
Ciccì Coccò
tre
civette sul comò
che
facevano l'amore
con
la figlia del dottore
il
dottore s'ammalò
Ambarabà
Ciccì Coccò
UCCELLIN
CHE VIEN DAL MARE
Uccellin
che vien dal mare
quante
penne può portare?
Può
portarne trentatrè
a
sta fuori tocca a te
un,
due e… tre
PONTE
DI VERONA
Sotto
il ponte di Verona
c’è
una vecchia scureggiona
che
cuciva le mutande
per
non fare il buco grande,
ma
il buco si allargò
e
la vecchia scureggiò
IL
CAFFÈ DELLA PEPPINA (Versione 1)
Un,
due e tre
la
Peppina fa il caffé,
fa
il caffé con pepe e sale,
la
Peppina va all’ospedale.
Un
due e tre
a
star fuori tocca a te.
IL
CAFFÈ DELLA PEPPINA (Versione 2)
Un,
due e tre
la
Peppina fa il caffé,
fa
il caffé di cioccolata,
la
Peppina l'è ammalata.
È
ammalata con gran dolore,
la
Peppina va dal dottore.
Il
dottore la sgridò.
Ambarabà
ciccì, coccò.
SOTTO
IL PONTE DI BELACCA(o BARACCA)
Sotto
il ponte di Belacca
c’è
un mimin che fa la cacca,
la
fa dura, dura, dura,
il
dottore la misura,
la
misura trentatrè,
a
star fuori tocca… a te.
Da
Giuseppina Speranza, un'anziana maestra di Rieti, ho appreso la
seguente versione, piuttosto diversa, ma con un'evidente traccia
comune, peraltro si può comprendere da dove deriva la parola
“Belacca”.
Sotto
il ponte di bell’acqua,
c’è
mimin che fa la cacca
e
la fa di tre colori,
bianca
rossa e verdolina
c’e
un dottore che l’indovina.
PASSA
PAPERINO
Passa
Paperino
con
la pipa in bocca
guai
a chi la tocca.
L'hai
toccata proprio te.
A
star fuori tocca proprio a te.
OLIO,
PEPE e SALE
Olio,
pepe e sale
per
condire l’anima… leee
Non
era una conta, ma svolgeva la stessa funzione. I bambini mettevano il
dito indice sotto il palmo della mano di un loro compagno che
recitava la frase e chiudeva la mano nel momento in cui pronunciava
la l’ultima sillaba. Non funzionava gran che, c’erano sempre
polemiche.
SCIOGLILINGUA
Gli
scioglilingua erano diffusi specialmente in ambiente scolastico,
infatti sono spesso in lingua italiana. La trasmissione avveniva più
che altro oralmente da bambino a bambino, anche l'origine era spesso
nei testi scolastici.
CIELO
NUVOLOSO
U
j è un zël nuvlos in qua e là,
chi
è a ca’ad chiêtar
is
vega a ca’.
Se
me a fös a ca’ad chiêtar,
com
chiêtar j è a ca mia
A
tureb so e mi bastonzin
e
a andreb via.
Più
che una filastrocca pare uno scioglilingua, ironico verso chi ti si
infila in casa e non si toglie mai dalle scatole.
Traduzione.
C’è
un cielo nuvoloso in qua e là,
chi
è a casa degli altri
vada
a casa.
Se
io fossi a casa degli altri,
Come
gli altri che sono a casa mia
Prenderei
il mio bastoncino e andrei via.
LA
CAPRA
Sopra
la panca
la
capra campa,
sotto
la panca
la
capra crepa.
APELLE
Apelle
figlio d’Apollo
fece
una palla di pelle di pollo.
Tutti
i pesci vennero a galla
a
vedere la palla di pelle di pollo
fatta
da Apelle
figlio
di Apollo.
Di
evidente provenienza scolastica, si recitava non avendo la minima
idea di chi fosse Apelle e solo una vaga idea di chi fosse Apollo.
TRENTATRÈ
TRENTINI
Trentatrè
trentini
entrarono
in Trento
tutti
e trentatrè
trotterellando.
SE
OGGI SEREN NON È
Se
oggi seren non è
doman
seren sarà
e
se non sarà seren
si
rasserenerà
NINNE
NANNE
NINNA
NANNA, NINNA OH
Ninna
nanna, ninna oh
questo
bimbo a chi lo do?
Se
lo do alla befana
se
lo tiene una settimana.
Se
lo do all'uomo nero,
se
lo tiene un anno intero.
Se
lo do all’uomo bianco,
se
lo tiene tanto tanto.
Ma
lo do alla sua mamma
che
gli canta la ninna nanna.
Era
decisamente la ninna nanna che ricordo come la più usata.
STELLA
STELLINA
Stella
stellina
la
notte si avvicina,
la
fiamma traballa,
la
mucca è nella stalla.
La
mucca e il vitello.
La
pecora e l'agnello.
La
chioccia coi pulcini.
La
gatta coi gattini.
Il
bimbo e la sua mamma
Ognuno
ha il suo bambino,
ognuno
ha la sua mamma.
… e
tutti a far la nanna
con
la sua mamma.
NINNA
NANNA
Ninna
nanna, ninna nanna,
il
bambino è della mamma,
della
mamma e di Gesù
e
il bambino non piange più
NINNA
NANNA (sconsolata)
Ninna
nanna, ninna nanna.
La
mimina l’an vò durmì:
la
s’arsmeja ala la su mamma,
poc
ad bon la j’à davni
Traduzione:
Ninna
nanna, ninna nanna.
La
bambina non vuol dormire:
si
assomiglia alla sua mamma,
poco
di buono diventerà.
COSCINE
DI POLLO.
Fate
la nanna, coscine di pollo,
fate
la nanna coscine di mamma.
La
mamma vi ha fatto un gonnello
ve
l’ha fatto con lo smerlo in fondo.
Fate
la nanna, coscine di pollo.
Fate
la nanna, possiate dormire.
Il
letto è fatto di rose e viole
e
la coperta di lana sottile.
Fate
la nanna, begli occhi di sole.
Fate
la nanna, un bel sonno faremo,
un
sonno lungo e poi ci sveglieremo.
Nei
miei ricordi si declamavano solo i primi cinque versi ripetendoli.
C’ERA
UNA VOLTA UN RE
C’era
una volta un re
seduto
sul sofà
che
disse alla sua serva:
“Raccontami
una favola”.
La
storia incominciò:
“C’era
una volta un re…
Si
continua all’infinito.
Non
era una ninna nanna anche se talvolta la usava come tale,
cantilenando
POESIE
DI NATALE
LA
CAPANNA
Tutti
vanno alla capanna,
per
vedere cosa c’è.
C’è
un bambin che fa nanna
nelle
braccia della mamma.
Oh!
Se ci avessi un vestitino
lo
darei a quel bambino!
Il
vestitino non ce l'ho,
tutto
il mio cuore gli darò!
LA
NOTTE DI NATALE
La
notte di Natale
è
nato un bel bambino
bianco,
rosso e ricciolino.
Maria
lavava,
Giuseppe
stendeva
e
il bimbo piangeva
che
latte voleva
Non
pianger, mio figlio
che
adesso ti piglio;
pane
non ho
ma
latte ti do.
La
neve sui monti
cadeva
dal cielo
e
Maria col suo velo
copriva
Gesù.
LA
MIA MAMMA PER NATALE
La
mi mama per Nadêl
La
m’à prumess e’pân speziêl,
di
zucarén e dal zambëli
e
tânt ètar ròbi bëli.
La
mi à prumess a cundiziòn
Ch’impares
un bël sarmòn.
Tota
nòta a l’ho sugnè
Stamaténa
am sò alzè
e
sarmòn a l’ho imparè.
A
j ò det e mi sarmunzén
mama,
mama dam i zucarèn.
Traduzione:
La
mia mamma per Natale
mi
ha promesso il pan speziale
zuccherini
e ciambelle
e
tante altre cose belle.
Mi
ha promesso a condizione
che
imparassi un bel sermone.
Tutta
la notte l’ho sognato,
stamattina
mi sono alzato
il
sermone l’ho imparato.
Ho
detto il mio sermoncino
Mamma,
mamma dammi lo zuccherino.
QUESTA
NOTTE A MEZZANOTTE
Sta
nota a mezanòt,
un’ora
préma de bòt,
l’è
nêd un Babinèl,
tra
e bò e sumarel.
Con
e su respir il schelda,
San
Jusèf l’è le cu guêrda;
la
su mama lal fàşa,
la
i strènz i su pidin
Gesù
mio, che bel mimin!
A
l’è d’intòran, tôt fa ligria,
tôt
j adòra e Babinèl;
i
pastùr i sona la piva,
la
piva e ancora e i pivén,
i
fa ligrèza a e’bel Bambén.
È
sarmòn a l’ho finì:
mama,
dasi un bajòch,
o
dasimân du, se un uv pè tròp!
Traduzione
Stanotte
a mezzanotte
un’ora
prima del “botto” (l’una)
è
nato un Bambinello
tra
il bue e l’asinello.
Con
il loro respiro lo riscaldano,
San
Giuseppe è lì che lo guarda, la sua mamma lo fascia
gli
stringe i suoi piedini:
Gesù
mio, che bel Bambino.
Lì
intorno, tutti fanno festa,
tutti
adorano il Bambinello,
i
pastori suonano la piva
la
piva e lo zuffolino
fanno
festa al bel Bambino.
Il
sermone l’ho finito
Mamma
datemi un baiocco
o
datemene due, se uno vi sembra troppo.
VARIE
LA
SETTIMANA LAVORATIVA.
Il
Lunedì, che è il dì dopo la festa,
ahi!
Che mal di testa non posso lavorar.
Il
Martedì preparo gli strumenti,
Ah!
Che mal di denti non posso lavorar.
Mercoledì
mi metto sulla soglia
ad
aspettar la voglia che avrò di lavorar.
Il
Giovedì è dì di benedizione,
mi
metto in devozione e non posso lavorar.
Il
Venerdì, sarebbe il giorno buono,
ma
per un giorno solo che vado a lavorar?
LA
SETTIMANA LAVORATIVA 2
Lunedì,
non mi svegliai,
Martedì,
non lavorai.
Mercoledì,
persi la rocca.
Giovedì
la ritrovai.
Sabato
mi lavai la testa.
Domenica,
non potei filar perché era festa.
CANZONATURA
Michele,
Michele
Che
mangia le candele
Le
mangia senza pane
Scoreggia
come un cane,
il
cane si rivolta,
scoreggia
un’altra volta.
Naturalmente
il nome cambiava a seconda delle circostanze e al posto delle candele
si metteva un alimento che facesse rima col nome di chi si voleva
canzonare.
DIMMELO
E DAMMELO
Dimmelo
e Dammelo
vanno
in guerra.
Muore
Dimmelo
chi
ci rimane?
Se
l’interlocutore rispondeva: “Dammelo”. Gli si mollava un
ceffone. Se invece faceva il tonto e diceva “Dimmelo”
gli si diceva”. Scemo” ma lo scherzo non era riuscito
LO
SBADIGLIO
E
sbadaj l’è de vilén:
o
cla sëda o cla féma
o
cla mêl e u ne po’dì,
o
cla són e un po’durmi
Traduzione:
Lo
sbadiglio è del villano:
o
che ha sete o che ha fame
o
che ha male e non lo può dire
o
che ha sonno e non può dormire.
DIALOGO
FRA S. ANTONIO E IL CONTADINO
– Sant’Antonio
abate
senza
moglie come fate?
– E
voi che ce l’avete come fate a mantenerla?
Con
un aglio e una cipolla
io
mantengo figli e moglie.
TRE
PULCINI ANDARONO A SPASSO
Tre
pulcini andando a spasso
incontrarono
una volpe
che
veniva passo, passo.
Leggicchiava
il suo giornal:
–
Buona
sera, signorina.
Disser
subito i pulcin.
–
Oh
salute, miei carini!
e
di bello che si fa?
–
Poiché
mamma è andata fuori,
siamo
usciti dal pollaio!
Vogliamo
fare un po’i signori
E
girare qua e là!
–
Bravi,
bravi per davvero,
voglio
stringervi la mano!
Sì
dicendo, s’appressò
E
glu, glu se li mangiò.
QUANTE
BELLE FIGLIE, MADAMA DORÉ
Oh
quante belle figlie, Madama Doré,
oh
quante belle figlie.
Son
belle e me le tengo, scudiero del re,
son
belle e me le tengo.
Il
re ne domanda una, Madama Doré,
il
re ne domanda una.
Che
cosa ne vuol fare, scudiero del re,
che
cosa ne vuol fare?
La
vuole maritare, Madama Doré,
la
vuole maritare.
Con
chi la maritereste, scudiero del re,
con
chi la maritereste?
Col
principe di Spagna, Madama Doré,
col
principe di Spagna.
E
come la vestireste, scudiero del re,
e
come la vestireste?
Di
rose e di viole, Madama Doré,
di
rose e di viole.
Prendete
la più bella, scudiero del re,
prendete
la più bella.
La
più bella l'ho già scelta, Madama Doré,
la
più bella l'ho già scelta.
Allora
vi saluto, scudiero del re.
Allora
vi saluto.
Più
che una filastrocca era una canzoncina cantata dalle bambine quando
giocavano da sole, nei miei ricordi è sempre associata ad un
girotondo.
IL
PARADOSSO E LA DURA REALTA'
Quând
a s’era piò zninin
andeva
fora con un ninin.
Quând
a s’era piò grandot
andeva
fora con set o ot.
Andeva
zö par la végna
par
fei magné dla gramégna.
U
vén fora e mi padron
con
n’ha stanga e un baston
e
u taca ad mnem zö in te gropon.
Me
a veg a cà pianzend pianzend,
la
mi mà la ja fat e bustrengh,
l’ha
mna dè un pez: an l’ho vlùt
l’ha
mla daset un piat: osta sa l’ho vlù!
A
l’ho mess in te camén
u
m l’ha magnè e mi ninén.
A
l’ho mess in tla cassaza,
u
m l’ha magnè la mi cagnaza.
A
vegn zö in tla stalaza,
lè
morta la cavalaza.
cun
la pèla a fén tambur,
cun
la coda a fén un sciadur.
Taca
a tanburé!
taca
a s-ciaduré!
töt
al veci l’is dà da fè
selta
una, selta dè, selta tre.
La
piö quajona la s’amazèt.
U
vèn föra du zambelt
chi
baleva a cul avert.
U
vén föra de vìciazi
c’al
baléva sénza al s-ciafi,
u
vén föra du viciun
chi
balëva sénza i calzun.
Traduzione
Quando
era piccolino
andavo
a pascolare un maialino.
Quando
ero più “grandotto “
ne
pascolavo sette o otto.
Andavo
giù per la vigna
per
fargli mangiare la gramigna.
Venne
fuori il mio padrone
con
una stanga ed un bastone
e
cominciò a menarmi nel “groppone”.
Andai
a casa piangendo piangendo
La
mia mamma aveva fatto il “bustrengo”, (dolce contadino)
me
ne ha dato un pezzettino: non l’ho voluto,
me
ne ha dato un piatto: osta se l’ho voluto!
L’ho
messo nel camino
e
me l’ha mangiato il mio maialino.
L’ho
messo nella cassaccia
e
me l’ha mangiato la mia cagnaccia.
Vado
giù nella stalla
ed
è morta la cavalla.
Con
la pelle faremo un tamburo.
Con
la coda faremo un mattarello.
Attacca
a tamburare!
Attacca
a “mattarellare “!
Tutte
le vecchie si danno da fare.
Salta
una, saltano due, saltano tre.
La
più cogliona si ammazzò.
Vennero
fuori due ragazzotti
che
ballavano a culo scoperto.
Vennero
fuori due vecchiacce
che
ballavano senza le ciabatte.
Venne
fuori due vecchioni
che
ballavano senza calzoni.
Anche
le filastrocche che appaiono più sconclusionate mantengono un
rapporto con la realtà e il vissuto quotidiano, questa ci parla
della vita difficile di bambini che fin da piccoli sono gravati dal
lavoro. La filastrocca procede entrando sempre più nel paradosso e
sembra dirci che la vita appare al bambino dura e incomprensibile: il
padrone che lo mena sul groppone e più odioso, ma non è meno
assurdo delle vecchie che ballano senza ciabatte. Comunque bisogna
“tirare avanti “e prendere la vita alla “meglio che si può”.
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