LA SVENTURA DEI TRE FRATELLI
CHE VOLEVANO IMPARARE
L’ITALIANO
Tratto dal libro: C'ERA UNA VOLTA ... anzi appena ieri
di Palmiro Capacci
E mail: palmiro.capacci@gmail.com
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Questa favola o meglio storiella ha un'evidente finalità pedagogica, spiega ai bambini l’importanza dell’istruzione ed in specie della conoscenza della lingua italiana, pena grossi guai. Sullo sfondo s'intravedono la difficoltà e l’inadeguatezza del mondo contadino a rapportarsi con le istituzioni statali, viste come una realtà estranea a cui bisogna adeguarsi perché non ti comprende, non media e procede implacabile. S'intravede pure una critica, neppure troppo larvata, alla figura patriarcale dell’azdör che, tutto preso dal suo ruolo esclusivo, comanda la famiglia e la esclude dalle decisioni e dalla conoscenza. Ricordiamo che le favole erano raccontate dalle donne ai bambini, tutte figure subalterne nella famiglia patriarcale.
Un anziano contadino morì
lasciando tre figli: giovani ragazzi, ancora non maritati. Erano grandi
lavoratori, ma piuttosto sprovveduti. Rimasti orfani di madre ancor piccoli
erano cresciuti un po’come potevano. Non avevano mai lasciato il podere,
nemmeno per frequentare la scuola. Il padre da vero reggitore (azdör) tutto di un pezzo, volitivo
ed autoritario, li aveva sempre comandati a bacchetta senza preoccuparsi della
loro educazione e mai li aveva messi al corrente degli affari della famiglia e
del mondo. Morto il padre, i tre giovani si sentivano spauriti ed inadatti ad
affrontare la vita.
Il più grande, dopo aver a
lungo riflettuto, disse ai fratelli: “Adesso dobbiamo arrangiarci da soli,
penso che per farlo la cosa più importante sia quella di imparare a parlare
l’italiano, altrimenti ci considereranno dei poveri ignorantoni e tutti ci
prenderanno in giro e ci raggireranno nei nostri affari”.
I fratelli approvarono, mica
era il più grande per niente, ma come fare ad impararlo l’italiano? Vivevano in
un podere sperduto fra i monti e nei
dintorni non c’era nessuno che lo parlasse.
Si misero quindi in cammino.
Cammina cammina non incontrarono anima viva, si fece notte, erano stanchi ed
affamati, finché nel buio videro balenare un lumino, proseguirono in quella
direzione e trovarono una casupola. Bussarono ed una vecchia aprì l’uscio di
casa e chiese: “Che volete bei ragazzoni?”.
Raccontarono il motivo del
loro viaggio. Sentito il racconto, la vecchia rispose: “Se la questione è
questa non c'è problema, conosco l’italiano e posso insegnarvelo, in cambio,
siccome sono una donna sola, dei bei ragazzoni come voi possono aiutarmi a fare
qualche faccenda attorno casa”.
Raggiunto l’accordo, i giovani
si fermarono, di giorno lavoravano e la sera studiavano l’italiano con la
padrona di casa. Sarà perché di giorno dovevano lavorare duramente ed alla sera
erano stanchi morti, sarà che erano poco avvezzi allo studio, sarà che la
maestra non era granché brava, sarà quel che sarà, fatto sta che impararono
assai poco. Finché un giorno la vecchia disse che non aveva più bisogno di
loro, trovò la scusa che avevano imparato già un po’di italiano e li licenziò.
Di quanto avevano studiato dell’italiano il maggiore ricordava solo la parola
“io”, il mezzano solo le parole “per denaro” ed infine il piccolo sapeva solo
dire “suo dovere”.
Ripresero il cammino di casa,
soddisfatti di aver imparato qualcosa. Lungo il tragitto videro un uomo riverso
supino sul sentiero, si avvicinarono e costatarono che era morto assassinato:
sul petto erano evidenti le pugnalate inferte con uno stiletto.
Rimasero lì indecisi sul da
farsi, quando sopraggiunsero i carabinieri. Il maresciallo chiese subito in
italiano: “Chi è stato?”.
Il fratello maggiore non capì
la domanda ma timoroso di passare per il solito contadino ignorantone pensò di
mettere a frutto ciò che aveva imparato con le recenti lezioni di italiano e
prontamente rispose: “Io”.
Il maresciallo perplesso per
l’immediata confessione chiese: “Perché?”.
Essendo finito il lessico del
fratello maggiore, rispose il mezzano “Per denaro”.
Sentita la confessione, il
carabiniere replicò”. Ah è così!. Brutti delinquenti! Adesso vi arresto”.
Il piccolo che non voleva
rimanere escluso dalla loro prima conversazione in italiano, aggiunse: “Suo dovere”.
Col giudice le cose non
andarono meglio, non parlando la stessa lingua l’equivoco non fu chiarito, e
senza pensarci su due volte il tribunale li condannò all’ergastolo. I tre
sventurati fratelli sono ancora là in prigione, che si chiedono il motivo della
loro condanna.
Raccontata da Evelino Milandri (Velino) di Cusercoli
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