IL 25 LUGLIO A PREDAPPIO
Dal libro La foja
de farfaraz.
Predappio: Cronache di una comunità viva e
solidale.
Di P. Capacci,
R.Pasini e V Giunchi
(Pieghevole che sarà distribuito ai partecipanti)
LUGLIO 1943
24 luglio 1943 – Nel gabinetto della Caproni viene rinvenuto il
ritratto del Duce rimosso dalla parete del reparto. Sono accusati del gesto ed
arrestati gli operai Terenzio Mercatali di Fiumana e Nazzareno Tosi di Rimini.
Saranno rilasciati dopo tre giorni.
25 luglio 1943 - Caduta ed arresto di Mussolini. Già nel medesimo
giorno alla fabbrica Aeronautica Caproni si costituisce una commissione operaia
di fabbrica composta “da alcuni elementi del luogo”, fra cui ”Luigi Zarattini,
Aldo Giovannini ed Armando Toscani. Nei giorni successivi la Commissione
incontra i dirigenti di Federguerra (ente statale per la produzione militare) e
avanza richieste economiche e chiede il licenziamento di due dirigenti
squadristi ed altri elementi fascisti. Gli operai membri della commissione sono
giovani ed immigrati a Predappio in seguito alla nascita della fabbrica.
Nel paese si crea sconcerto,
ma la reazione degli elementi fascisti locali è nulla, qualcuno si farà coraggio
dopo l’8 settembre con l’arrivo delle truppe tedesche.
26 luglio 1943 – Giuseppe Ferlini, Egisto Capacci e i non meglio
precisati Mordenti di Predappio entrano nella sede del Fascio di Tontola e
danno fuoco al gagliardetto, ai ritratti del Duce e a materiali di propaganda.
Successivamente lo stesso Capacci, con altri, compie gli stessi atti di
sabotaggio presso Santa Marina, San Savino e “in varie Case del Fascio di
Predappio”. Da una denuncia del Prefetto di Forlì al Ministero dell’Interno
della RSI del 30/12/1943.
____________________
In ricordo di Terenzio Mercatali
(Fis-cin)
(22-04-1922 / 10-01-2013)
La militanza antifascista di Terenzio Mercatali, detto Fis-cin
(Fischietto), ha avuto un decisivo impulso il 24 luglio del ‘43, la vigilia del
giorno in cui Benito Mussolini sarebbe stato destituito dal Gran Consiglio del
Fascismo con tutte le drammatiche vicende avvenute in seguito a tale scelta.
Proprio quel giorno il ritratto di B. Mussolini, che, appeso alla parete del
reparto della fabbrica “Caproni” di Predappio in cui Fis-cin lavorava, dominava
sulla testa degli operai, era finito miseramente nel cesso. La “Caproni” di
Predappio era una fabbrica di aeroplani che, considerando anche gli occupati
dell'Aeronautica Militare di Forlì e alla “Linea di volo”, come allora erano
detti gli aeroporti, di Forlì, dove gli aerei erano assemblati, dava lavoro a
circa millecinquecento persone. Mercatali e un certo Tosi Nazareno, originario
di Rimini, si erano trovati casualmente in quei gabinetti quando la vigilanza
della fabbrica scoprì il fatto e loro furono incolpati di tale gesto, di aver
messo il quadro di B. Mussolini nel cesso. Allertati, immediatamente arrivarono
tre bersaglieri, l'arma militare d'appartenenza del Duce e tre miliziani,
entrambe le squadre capeggiate da un sergente, per arrestare e portar via i due
sciagurati.
Ammanettati l'un l'altro Mercatali e Tosi furono
portati alla gogna in giro per la fabbrica e all'uscita della “Caproni”
passarono in mezzo ad una trentina di persone, tra cui tutti i “capi” della
fabbrica, che li strattonavano e li insultavano. Il direttore del personale
della “Caproni”, l’ingegner Giovanni Manzella, “fascista della prima ora”,
afferrò “Fis-cin” per il collo quasi strozzandolo e graffiandolo tutto e
urlando in modo plateale disse: «Ma cosa ti ha fatto Mussolini per fare questo!»
Furono poi portati in Caserma e consegnati ai carabinieri di Predappio.
Il comandante della caserma, un capitano dei
carabinieri, li interrogò per delle ore, quel giorno e il giorno dopo,
accusandoli di aver “pisciato” sul ritratto del Duce, ma i due non potevano che
ribadire la loro innocenza. Fis-cin replicò che nessuno aveva pisciato sul Duce
e che, anzi, lui, il quadro da terra dove si trovava lo aveva appoggiato sopra
l'armadietto del gabinetto e questo lo avrebbero potuto verificare facilmente.
Durante l'interrogatorio Mercatali e Tosi furono tacciati di essere degli
“imboscati” e, non essendo la prima volta che Fis-cin sui luoghi di lavoro e in
altre parti si prendeva dell'imboscato, non si trattenne dal dire al capitano:
«E allora voi!» Infatti Mercatali era stato riformato ed esonerato dalla leva
militare per una menomazione braccio e Tosi, dopo aver già fatto tre anni di
guerra nella Marina Militare, nei sommergibili, era stato riformato perché
aveva contratto la tubercolosi. Anche per questo Tosi, lui che aveva lottato e
sofferto tanto per il Duce, si lamentava molto per tali accuse e la situazione
in cui si trovava. Il capitano era balbuziente e ogni volta che non cavava la
parola, per sbloccarsi, “mollava” un pugno o una sberla a uno dei due ma
soprattutto a Fis-cin che gli era più vicino e aveva la “ganasa” dalla parte
del capitano tutta gonfia e tumefatta.
La mattina del terzo giorno, dopo due notti di
prigione, furono rilasciati e successivamente reintegrati nel lavoro alla
“Caproni”. Mercatali chiese al maresciallo dei carabinieri, che gli restituiva
gli effetti personali sequestrati al momento dell'arresto, di poter denunciare
il direttore della Caproni che lo aveva graffiato in quel modo mentre era
ammanettato e mostrò il collo tutto segnato al maresciallo. Il maresciallo gli
disse che per fare la denuncia ci volevano i testimoni e Mercatali replicò che
più di trenta persone avevano visto davanti alla “Caproni” e, vedendo in quel momento
dalla porta aperta uno dei miliziani che lo avevano ammanettato e prelevato,
disse al maresciallo: «ecco lui è uno». Ma il milite fascista, chiamato dal
maresciallo, disse, spudoratamente, di non aver visto niente e Fis-cin “non
perse altro tempo in quella Caserma”. L'autore del misfatto non fu mai scoperto
e, probabilmente, Mercatali e Tosi furono scarcerati e reintegrati nel lavoro
senza altre noie perché in quei giorni, dopo la destituzione di B. Mussolini da
parte del Gran Consiglio del Fascismo, c'era molto trambusto e nervosismo tra i
dirigenti fascisti e incertezza sul da farsi nell'Arma dei carabinieri e
nell'Esercito. E poi, stai a vedere che quel ritratto di Benito Mussolini
finito nel cesso il giorno prima della sua destituzione non fosse un segno
premonitore del destino! Comunque, gli operai della “Caproni” di Predappio si
erano già disfatti del fascismo buttando nel cesso Mussolini.
( ...)
Aneddoti
di resistenza antifascista nel Ventennio
1°Maggio.
Il 1° maggio era la data simbolo dell’antifascismo e più in
generale della lotta ai padroni, anche perché il regime l’aveva vietata
sostituendola col 21 aprile, ipotetica ricorrenza della nascita di Roma. Il 1°
maggio gli antifascisti facevano ogni sforzo per mostrare che esistevano
ancora. Nella notte della vigilia si inalberavano bandiere rosse, che erano
viste come fumo negli occhi dagli squadristi che per l’occasione si rimettevano
in moto anche negli anni in cui la repressione era ormai stata demandata agli
organi dello stato. Nella notte della vigilia era un continuo rincorrersi fra
squadristi ed antifascisti ed ancora dopo tanti anni abbiamo udito i racconti
di chi con orgoglio raccontava com'era riuscito a turlupinare fascisti e Regi Carabinieri
innalzando la sua bandiera; talvolta gli antifascisti venivano sorpresi ed
erano bastonate e perfino denunce.
Chi poteva, quel giorno non lavorava e si metteva il
vestito buono, magari col tradizionale fiocco nero dei sovversivi al posto
della cravatta, ma erano in pochi a poterselo permettere perché meticoloso era
il controllo repressivo e per loro finiva male. In ogni caso se era festa quel
giorno bisognava almeno mangiar bene e fare ciò era più facile perché avveniva
entro le mura domestiche. Mangiar bene il primo maggio significava mangiare i
tortelli che in qualche misura erano diventati un piatto tradizionale di questa
festa. Si racconta che agli squadristi neri desse fastidio anche questo e che
all’ora di pranzo irrompessero nelle case dei noti sovversivi e con prepotenza
distruggessero le pietanze o, se pronte, se le mangiassero. Conoscevamo questi
episodi come avvenuti nelle case dei contadini della “bassa”, ma Vittorio
Emiliani nei suoi libri riporta che siano accaduti anche a Predappio.
Il rimorso di un povero
vecchio
Nelle colline fra Predappio e Civitella
abitava un uomo anziano che durante il ventennio raccontava di aver trasportato
sul proprio mulo Musléna (Benito Mussolini), ancora socialista, da San Savino
di Predappio a Cusercoli, dove doveva parlare in uno dei comizi che tenne in
questo paese di sovversivi. Costui, era preda del rimorso, non sapeva darsi
pace per non avere scaraventato il futuro Duce giù da un burrone quando
attraversarono il Monte Brucchelle “ma allora chi poteva immaginare come
sarebbe andata a finire”; però aggiungeva che aveva due pistole “a bacchetta” e
prometteva che prima o poi le avrebbe usate per riparare all’antica mancanza.
Durante le veglie con le famiglie più fidate questo episodio passava di bocca
in bocca fra le famiglie contadine. (tratto da “Poi venne la Fiumana”)
Sarcasmo contadino e
paesano: L’omaggio alla Nuova Casa del Fascio
L’antifascismo si esprimeva con mugugni,
battute sarcastiche e anche barzellette più o meno esplicite contro il fascismo
e il suo duce, magari erano “leggende metropolitane”, o eventi successi ma
romanzati. Il punto non è questo, ma il fatto che passassero di bocca in bocca,
durante le veglie o più spesso a tu per tu, facendo attenzione a chi ascoltava;
comunque nella società rurale e paesana del tempo ci si conosceva assai di più.
Si raccontava che dopo l’inaugurazione
della mastodontica Casa del Fascio di Predappio, la mattina si rinvenisse su un
gradino un bel cumulo di feci umane con un biglietto su cui era scritto: ”Qui
l’ho fatta e qui la lascio, un po’ al Duce un po’ al Fascio”. La qual cosa si
ripeté nel giro di poco tempo. I fascisti decisero di tenere la zona sotto
stretto controllo per tutta la notte e si appostarono nei dintorni. Per un po’
non successe più nulla. Una mattina quando erano già rientrati dentro
l’edificio, furono chiamati fuori e sul retro del palazzo c’era la solita merda
con il solito biglietto su cui però era scritto: “Qui l’ho fatta in piena luce,
niente al Fascio e tutta al Duce”.
Perché non fate anche il
Duce?
Si riporta un altro brano tratto dal libro
“Poi Venne la fiumana”. Racconta il libro: “Anche in montagna giravano le
barzellette contro il regime fascista, alcune riviste ed aggiornate con
personaggi attuali, sono sopravvissute. Quella che vado a raccontare non ha
avuto questa sorte, ma era alquanto originale. La storia è la seguente.
Il Duce si stava recando alla Rocca delle
Caminate quando il suo autista fu costretto a fermare l’auto perché in mezzo la
strada vi erano due bambini che giocavano e non si spostavano. Mentre il
conducente stava per cacciarli fu fermato da Mussolini, che scese dal mezzo e
si avvicinò ai bambini che vide intenti a fare dei pupazzetti con della
“bovina” (deiezioni di mucca). Con tono bonario e paternalistico chiese: “Che
state facendo ragazzi?” Questi di rimando: “Facciamo i balilla”. Mussolini
chiese ancora: “Perché non fate anche il Duce?”. I bambini precisarono: “Non
possiamo, abbiamo poca merda”.
Nel libro poi l’autore spiega che la
“bovina” oltre ad essere utilizzata come letame era usata anche come materiale
da costruzione per capanne “con un tetto di paglia sorretto da pali infissi nel
terreno e con il “muro” perimetrale costruito con rami o canne intrecciate e
ricoperte con un impasto d'argilla e “bovina”. Aggiunge poi: “A San Savino ho
visto forse l’ultima esistente, così proposi all’allora Sindaco di Predappio di
vincolarla come ”patrimonio storico”, ma non fui preso sul serio”. In effetti,
non era in stile razionalista.
Siccome poi il “nemico ti ascolta” si era
formata una terminologia per iniziati, ad esempio “la zòcca”(zucca) era il
testone pelato del Duce, “e sträz” (lo straccio) era la camicia nera e talvolta
il gagliardetto, “ la t-zemza” (la cimice) era il distintivo del PNF che si
portava sulla giacca.
In braccio al Duce
Predappio era un ambiente
ristretto; nel 1900 vi erano poco più di seimila abitanti che abitavano nel
territorio attuale del Comune, per cui abbiamo qualche decina di cognomi che
ricorrono molto spesso e si intrecciano fra loro imparentandosi. Se si guardano
gli alberi genealogici di queste famiglie è molto facile trovare una parentela
comune più o meno lontana.
Quando Mussolini divenne
importante le parentele si ricercarono e spesso furono messe a frutto e d’altra
parte il giornale locale fascista, “il Popolo di Romagna” estendeva il culto
della personalità a tutti i parenti più prossimi di Mussolini. Erano centinaia
i parenti suoi e della moglie che spuntavano come funghi e che inviavano
suppliche, chiedendo aiuti e favori, (non da parte di tutti per la verità) che
generalmente venivano esauditi anche se non in pieno. Le richieste erano in
ogni modo troppo assillanti e per ben due volte Mussolini dovette ordinare un'inchiesta
per scoprire quanti e quali parenti avesse. Vista l’ampia ramificazione
parentale un atteggiamento clientelare nei loro confronti era un modo per
estendere il consenso nel proprio luogo di origine.
Chi non era parente, ma era
del posto, l’aveva conosciuto o perlomeno visto in gioventù ed ecco che allora
nella ricerca di informazioni, è sovente incontrare persone il cui genitore o
nonno ha in qualche modo interagito con Benito Mussolini. Poi c’era chi si
rivolgeva al Duce e a Donna Rachele per avere un aiuto, tramite interposta
persona o per lettera, magari perché aveva chiamato il figlio Benito o aveva
dato tanti figli alla patria.
Questi episodi sono
raccontati non tanto dai nostalgici, perché in questa terra ce ne sono pochi e
quei pochi amano dare uno spessore maggiore alla loro scelta, ma dalle persone
comuni; loro ci tengono a raccontarli perché in qualche modo hanno vissuto un
momento di visibilità nella “luce riflessa”del Duce. Non dimentichiamo che
Predappio da sconosciuto paesetto all’improvviso si trovò al centro della fama
nazionale e chi era parente o concittadino del Duce d’Italia non poteva
rimanere insensibile al fatto di essersi all’improvviso trovato al “centro del
mondo”. Questo lo si nota anche da parte di chi poi esprime giudizi tremendi
sul capo del fascismo, ma poi aggiunge con un certo compiacimento: “Ma lo sai
che la mia mamma è stata presa in braccio dal Duce? Era stata scelta dalla
scuola come la bambina che doveva portargli un mazzo di fiori e quando si è
avvicinata lui l’ha presa in braccio e lei si è messa a piangere” (Senz’altro
la foto di sua madre piangente col Duce non l’hanno mai pubblicata).
L’ultima dichiarazione in
questo senso l’abbiamo sentita da Mario R. nato nel 1935, che abita ancora
lungo la strada che porta alla Rocca delle Caminate e che ci ha raccontato con
un certo orgoglio: “ Ma lo sapete che al Duce io ci ho dato dell’ignorante”.
Replichiamo: “Come sarebbe a dire? Poi eravate un bambino all’epoca” – “Sì, ero
ancora un bambino, ma ci ho dato dell’ignorante, proprio a lui. Dovete sapere
che allora abitavamo alla Tomba che è sempre su questa strada, ma è vicino alla
Rocca delle Caminate, è l’ultima casa del Comune di Forlì. Quando Mussolini era
alla Rocca la sera gli piaceva fare un giro a piedi nei dintorni e da noi
veniva spesso, perché dovete sapere che lui era un donnaiolo e a casa nostra
allora c’erano due - tre belle ragazze. Me l'hanno poi raccontato i miei,
perché io allora avevo quattro anni e non mi ricordavo più, che una volta mi
aveva preso in braccio, però io non ci volevo stare e allora sono scappato e
gli ho detto che era un ignorante, lui l’ha presa a ridere”.
Tratto dal saggio:
Partigiani
e Patrioti
delle
Provincia di Forlì e Rimini.
1943-44
Le donne e gli uomini che andarono
e i tanti che non tornarono.
A
cura di Palmiro Capacci
Note sui nomi di battaglia e sui nomi propri.
I nomi di
battaglia: Stella, Fulmine, Bill e Gratusa uniti nella lotta.
Nelle guerre partigiane è
in uso adottatore un nome di battaglia, al fine di non farsi riconoscere dal
nemico ed evitare rappresaglie contro i famigliari, questa consuetudine si
innesta con l’usanza molto diffusa a quei tempi in Romagna di indicare le
persone con un soprannome. Era abbastanza diffusa anche l’usanza di cambiarsi
nome, ad esempio uno che si chiamava Carlo si faceva chiamare Franco. I nomi di
battaglia riportati nell’elenco sono una miscela fra queste due situazioni, in
sostanza molti nomi di battaglia sono in realtà il soprannome che la persona
aveva già prima dello scoppio della Guerra di Liberazione, magari l’estensore
degli elenchi in alcuni casi li ha italianizzati come nel caso dello strano
soprannome “Duello di cani” che non funziona minimamente, mentre in dialetto “Cán chi ragna” fila che è una
meraviglia.
Il nome di battaglia
riportati sono 1.110 , probabilmente la compilazione non è stata completa ,
l’estensore ha riportato sono i nomi più consolidati e diffusi, in ogni caso
l’adozione del nome di battaglia non era regola generalizzata, salvo che per i
partigiani più attivi e con ruolo dirigente.
Abbiamo quindi la serie dei
soprannomi romagnoli i vari: “Macaròn, Rômmal, Gratusa, Frë, Gnegna, Bacôc,
Baròz, Butron, Cagnaz, Calcagna, Cartoz, Panzò, Milza” ecc. Una infinità di
declinazione romagnole dei nomi italiani: “Minghin, Mingon, Pirin, Piron,
Piraz, Zuanin, Zuanon, Giuvanon e via declinando”.
Poi vi sono le
caratteristiche fisiche che compongono una categoria assai numerosa, sono
declinate sia in italiano che in dialetto: “Biondo, Gagìn, Bafin, Barba,
Pelato” ecc.
I forestieri talvolta
venivano chiamati col luogo di origine, ad esempio: “Cremona, Lugo,
Novafeltria, Forlì” (non operava a Forlì ovviamente).
Ai giovani appartengono i
nomi di battaglia studiati per l’occasione della guerra partigiana. Nomi
gagliardi, utili anche a darsi coraggio, abbiamo quindi molti: “Folgore,
Fulmine, Saetta, Furia, Terremoto,Vento, Fantasma, Libero” o di personaggi come
“Napoleone, Ercole e Molotov”. A questi fanno da contrappunto alcuni
“Tranquillo” e un “Angioletto”. Vanno forte anche i nomi d'animale, ovviamente
di quelli forti, furbi ed aggressivi come: “Lupo (che va per la maggiore)
Falco, Donnola, Pantera, Leone e Tigre con Tigrotto (il suo giovane figlio).
Naturalmente non mancano: Diavolo, Fradiavolo,.Sparafucile, Sputafuoco,Vendetta
e persino un Carogna.
Ci sono poi i soprannomi
più politicizzati, ma sono assai pochi, una decina. Abbiamo 2 Acciaio
(probabilmente il richiamo è a Stalin), 2 Lenin, 2 Mosca (non è detto che il
richiamo fosse alla capitale Sovietica), qualche Spartaco, un Oberdan, un
Matteotti, un Badoglio e caso che trovo inspiegabile anche un Mussolini,
probabilmente era una sporadica presa in giro dei compagni che il compilatore
ha riportato (forse perché il partigiano in questione gli stava antipatico).
Fa
capolino la “modernità” con qualche nome inglese: “Bill, Dick, John, James,
Harlem, Joe”. Qualche personaggio dello sport e dello spettacolo: “Girandengo,
Carnera, Maciste, Macario, Totò” (forse non deriva dall’attore). Anche la
pubblicità fa capolino con un “Palmonive”.
Le donne
come in genere non hanno il soprannome in poche
hanno un nome di battaglia che in genere è un diverso nome proprio di
persona ad esempio se si chiama Carla il nome di battaglia è Anna, però
troviamo anche: “Micia, Titta, Stella, Mosca, Staffetta, Brël (giunco in
romagnolo)” e un poco femminile “Cruton” che fa da contraltare a “Rondinella e
Cilena” che invece erano il nome di battaglia di solidi partigiani maschi.
Quello di avere un normale nome proprio come nome di battaglia è diffuso anche
fra gli uomini specialmente per i più sperimentati dirigenti del PCI: loro sono
seri e sobri rivoluzionari, avulsi dalle smancerie e dalla vanagloria. Sono
abituati alla clandestinità, fatta di false identità e nella carta di identità
falsa mica potevano scrivere che so!: “Rossi Tartan”. Ma anche qui c’erano
eccezioni , il responsabile della sussistenza dell’8va Brigata,
volontario a difesa della Repubblica spagnola, aveva il nome di battaglia
“Curpet”.
Per chiudere non manca
l’istruito di turno che si fa chiamare Cicerone (ma più probabilmente è una
ironica presa in giro) e il filosofo che di nome proprio fa Aristotile ed è
soprannominato “Sinopi”.
I nomi
propri: Sperindio, Anaddio e gli altri.
Più curiosi dei nomi di
battaglia sono i nomi propri. Certo non mancano miriadi di Giovanni, Luigi,
Carlo, Antonio, Domenico, ma la
Romagna era famosa per i nomi originali. Ciò deriva dal
radicato spirito anticlericale presente nella popolazione, per cui molti si
rifiutavano di dare al figlio il nome di un santo. Durante il ventennio, anche
a seguito del Concordato siglato fra lo Stato fascista e la Chiesa Cattolica,
la situazione si era già molto normalizzata, poi il regime negava l’uso di nomi
stranieri e di nomi con un connotato sovversivo tipo: “Ribelle, Spartaco,
Gracco, Oberdan e Oberdino (forse il nome dell’attentatore dell’imperatore
austriaco era ammesso), Giordano Bruno, Giusto, Comunardo, Libertario”. Anche
il nome “Lincon” rientra in questo filone.. Si arrivò al provvedimento di far
cambiare il nome ad alcuni bambini, ad esempio “Ribelle” divenne “Rino”, “Ateo”
divenne “Anteo”.
Si salvò il nome del
rivoluzionario Benito Juarez: ma il motivo è ovvio, nell’immaginario questo
nome era passato nella sponda opposta. Fra i Partigiani troviamo otto “Benito”,
tuttavia due nacquero all’inizio del secolo quindi il rimando era a Juarez e
non a Mussolini.
E’ quindi naturale che i
nomi più fantasiosi appartengano alla generazione nata prima del ventennio.
Riportiamo alcuni dei nomi
più originali. Diversi sono di origine greca: “Aristodemo, Aristotile,
Apollonio, Dionisio Ermete, Efigenia, Medea, Olimpio, Omero, Pallade (nome
femminile), Sofocle, Telemaco” ecc). Alcuni nomi derivano dalla lettura dei
romanzi come “Athos e Abbondio” (che di cognome faceva Bravi). Altri sono
attributi o auspici per il nascituro: “Allegrina, Godolo, Prudenza, Speranza,
Tostina, Vivi e, Nuovissima”. C’è anche un “Vedovo” (chissà forse era
l’auspicio per il figlio di un padre che aveva una moglie particolarmente
“tignosa”).
In alcuni il richiamo alla
divinità è diretto e particolare come “Sperindio” (evidentemente la sua vita
non partiva nelle migliori delle condizioni). Abbiamo anche un Anaddio che
sillabato in romagnolo suona “An’ha Dio” cioè ateo. Non mancano i vecchi nomi
romagnoli come:“Celso, Vasco, Olmo, Anacleto. Cesira Adalgisa e anche tante Zaira e Zenaide. Con
le figlie femmine tuttavia si era meno fantasiosi.
Altri nomi che chissà dove
li hanno trovati: “Annonario (Beh! Questo l’hanno certamente trovato al
mercato), Anodonte, Arinovario, Argia (molto numerose), Ariodante, Ariomede,
Assirto, Biffo, Brugnolao, Calamitò, Candenzio, Ghigo, Deroide, Elireo,
Elettropulonna, Elvirino, Ergia, Fairez, Fennalbo, Floro, Filulea, Frè Luigi
(però era toscano), Gleno, Grido, Ibleto, Ideolo, Iglina, Luraide, Melda
(poverina chissà quanto l’avranno presa in giro), Nosleto, Pritilio, Raicle,
Redeno, Rutos, Spiess, Tartò, Tudina, Uno, (abbiamo anche un Primo Adamo),
Uffrisio, Zorè”.
Di “Palmiro” non ce ne
sono, ma ci sono due “Palmira”.
Infine se non bastasse ci
si mettevano anche i funzionari dell’ anagrafe che sbagliavano a trascrivere i
nomi per cui “Palmina” diventa “Pamina”, “Rosina” è scritto “Rosia”, “Ilva” si
trasforma “Ilma”. Se ti chiamavi “Ribelle” ti convocavano per cambiarti il nome
ma se si sbagliavano a verbalizzare il nome dovevi tenertelo col loro
errore.
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