COLLANA HORROR URCA
(Ogni riferimento a fatti e personaggi reali è puramente causale).
UN MIGNOLO PER DUE
ANTEFATTO
Il
mese di febbraio era stato tremendo; un gelo polare ed una enorme coltre di
neve avevano congelata la vita. Si viveva in uno stato di semi ibernazione,
rintanati come istrici chiusi nella propria tana sotto metri di neve. Ogni
sforzo era riservato a mantenere sgombra l’apertura
del proprio rifugio e a maledire il Comune che non la sgombrava dalla neve.
Verso
la fine del mese la situazione mutò repentinamente. La temperatura si era
alzata, un luminoso sole era apparso, la neve si scioglieva velocemente e
scorreva per mille rivoli. Anche la vita sociale riprendeva a pieno ritmo, e
scorreva fra ingorghi di traffico, e cumuli di neve nerastra simile ad enormi
cacche di dinosauri; ognuno usciva dalla propria tana e si rigettava nell’agone.
Anche
l’URCA (Unità Regionale Controlli Ambientali) riprese i
sopralluoghi ed ai primi di marzo ne programmò uno presso la ditta “Il Bigattino”collocata in un
aspro, franoso e ventoso vallone del Monte Spaventa. Era da un po’ di tempo che
si doveva andare a controllare il luogo, ma prima era stato umanamente
impossibile, ed anche per il giorno programmato, non vi era la certezza che si
potesse raggiungere il luogo: in pianura la neve si era in gran parte sciolta,
le strade erano sgombre, ma quale sarebbe stata la situazione lassù “dal luogo
ove spiccano i baleni”, in cima a quello spaventoso monte? Non era da escludere
che non si potesse proseguire oltre ad un certo punto o di uscire fuori strada
cadendo in un burrone per essere poi ritrovati chissà quanto tempo dopo.
Ma era necessario eseguire un
sopralluogo, perché pur sotto la pesante coltre di neve erano giunte voci, di
strane e misteriose pratiche che si svolgevano in tale località, collocata
fuori dal mondo.
Partirono in due operatori: Ciro
Frammenti. ed Angelo Cherubini. Forse mandare loro in quel tetro luogo ed aspro
territorio fu una leggerezza, in quanto erano persone di grande volontà, ma
delicate ed ingenue, erano dei “cittadini”, poco avvezzi alla dura lotta per la
sopravvivenza che si svolgeva in quelle remote lande. La ditta “il Bigattino”
svolgeva poi una attività del tutto particolare, raccoglieva carogne animali
che poi triturava ed usava come alimento per le larve della mosca carnaria che
poi rivendeva a pescatori.
Era la fabbrica della morte, della
decomposizione, della putrefazione, dell’abbrutimento: lavorare in un ambiente
simile avrebbe indurito anche il cuore a San Francesco. Quando lavori a diretto
contatto con la morte te ne innamori e la sua attrazione diventa fatale.
Gli operatori dell’URCA partirono con
l’animo confuso in un misto d’incoscienza ed apprensione.
Verso le ore 10 di quella mattina arrivò
alla sede provinciale dell’URCA una confusa comunicazione telefonica in cui i
nostri temerari operatori chiedevano aiuto. Fu prontamente organizzata una
squadra di soccorso composta da due provati e rudi montanari, veterani del
mestiere, gli operatori Miro Palmi e Celso Dumaroni.
Per il proseguo leggiamo la relazione di
sopralluogo scritta dalla squadra inviata in soccorso.
RELAZIONE DI
SOPRALLUOGO.
“In
data 1 marzo 20…(omissis) i sottoscritti Miro Palmi e Celso Dumaroni a seguito
di una telefonata giunta in mattinata presso la sede dell’URCA si attivavano
immediatamente per prestare soccorso ai colleghi Ciro Frammenti e Angelo
Cherubini che si erano recati presso l’Az. “Il Bigatto” sita in Comune di Villa
Inferno, Loc. Monte Spaventa, Podere denominato la Gramigna.
Giunti
sul luogo, dopo aver percorso i tornanti di una scivolosa ed accidentata
strada, posta fra dirupi spaventosi, ci è venuto incontro il sig. Nöss Sferati
di nazionalità Transilvana, che si qualificò come titolare dell’azienda.
Chiesta notizia dei nostri colleghi questi, con fare molto guardingo, arcigno e
sospettoso, con uno sciame di mosche nere scure grasse che gli ronzava attorno,
affermava con sguardo torvo e voce cavernosa, di non aver visto nessuno, che
erano parecchie settimane che nessun estraneo si vedeva in quei paraggi. Data
un’occhiata nei dintorni non si è notata la presenza dei colleghi ne quella
della loro auto.
Valutata
la situazione e lo stato di estremo isolamento, abbiamo ritenuto opportuno
assumere un atteggiamento tranquillizzate, ed abbiamo dichiarato che
probabilmente ci eravamo sbagliati, anzi sicuramente ci eravamo sbagliati ed
abbiamo cambiato discorso cominciando a parlare dei danni della recente
nevicata e chiesto se le larve avessero sofferto a causa della recente ondata
di gelo. L’atteggiamento del nostro interlocutore si è poco alla volta
addolcito, ha cominciato ha parlare dei problemi causati dalla tempesta di neve
mostrandoci i danni subiti ; in tal modo si è cominciato a ispezionare lo
stabilimento, buttando l’occhio, nel modo più indifferente possibile, ovunque
per trovare indizi che confermassero la presenza in quel luogo dei nostri
colleghi.
La
nostra attenzione è stata attratta dal macchinario che macina le carcasse degli
animali per poi usarle per l’alimentazione delle larve della mosca carnaria,
l’occhio è caduto su un mucchietto di carniccio caduto ai lati del trituratore
ed in particole su un pezzo che pareva un dito umano, ma era difficile dirlo
con certezza perché non si poteva osservarlo da vicino ed attentamente senza
destare sospetti. Mentre un operatore distraeva il titolare, che con tono
sinceramente commosso gli raccontava della sofferenze che avevano subito i
poveri bigattini a causa del freddo e della impossibilità di far giungere loro il cibo necessario, l’altro facendo
finta di legarsi una scarpa raccoglieva quello che sembrava essere un dito e
velocemente lo riponeva in tasca.
Sospettando
della tragedia che poteva essere avvenuta poc’anzi e nel timore che potesse
ripetersi sulle nostre persone, abbiamo cercato di allontanarsi al più presto
da quel nefasto luogo. Mostrando estrema indifferenza, nonostante che la paura
facesse novanta, dopo aver di nuovo rabbonito il titolare dichiarando che tutto
era regolare, che la sua era proprio una bella azienda, degna di stare sul mercato ed anche di essere quotata in borsa ed aver
aggiunto che bisognava conferirgli una medaglia per la importante attività che
svolgeva, anche se purtroppo in tanti per ignoranza non ne apprezzavano appieno
l’importanza.
Finalmente
siamo riusciti a ripartire: vincendo la tentazione di fuggire a gambe levate,
abbiamo percorso il tratto fino alla nostra auto lentamente, ed altrettanto
lentamente abbiamo percorso il tratto di strada fino alla curva; svoltata la
quale abbiamo pigiato l’acceleratore al massimo, rischiato di finire più volte
fuori strada. Dopo molti chilometri, verificato che nessuno ci seguiva ci siamo
fermati in una radura e fattoci coraggio, abbiamo guardato ciò che ci era
sembrato un dito ed abbiamo avuto la tremenda conferma: era un mignolo umano.
Compresa la tragedia umana accorsa solo poche ore prima abbiamo alzato lo
sguardo, notando solo allora che ci eravamo fermati sotto un mandorlo in fiore,
il contrasto vita e morte ci ha colpito assai. Ma non avevamo tempo per
contemplazioni filosofiche e poetiche. Nonostante fossimo comprensibilmente
sconvolti, abbiamo proceduto a mettere il nostro “prelievo” in un sacchetto di
polietilene, l’abbiamo debitamente piombato e munito di cartellino
identificatore e codice a barre l’abbiamo messo nel frigorifero portatile
garantendogli una temperatura di 5°, rispettando in tal modo tutte le modalità
impartite dalla disposizione operativa N. 15 M.0- RT 001 – 2 pal”.
EPILOGO.
Dei due eroici e sfortunati tecnici di
vigilanza Ciro e Angelo non si trovarono altre tracce, altri pezzi non furono
identificati, nonostante l’approfondita ricerca nel carniccio tritato,
evidentemente una volta tritati tecnici ambientali ed i polli sono
indistinguibili. Non c’era altro da fare che accettare la realtà: i nostri
colleghi erano giunti a pezzi fra gli angeli.
Alle due vedove non rimase che un solo
dito. Non si riuscì ad identificare a chi appartenesse , ma forse non lo si
fece di proposito per non negare ad una delle due infelici una tomba su cui
piangere e pregare. Si discusse a lungo se dividere in dito in due parti ma poi
si scelse di seppellirlo in una unica tomba con apposte due lapide. Scartata
decisamente, perché considerata di cattivo gusto, fu invece la proposta di
integrare i poveri resti mortali degli sventurati con le creature che grazie
essi si erano sviluppate.
Fallì anche tentativo di assegnare una
pensione alle due vedove, il Ministero rispose che non era possibile perché i
due operatori mica erano morti in una missione di pace, come provava il fatto
che nemmeno avevano con se un fucile.
Tuttavia non tutto era perduto, vi fu
anche un risvolto positivo, l’auto scomparsa fu ritrovata in un capannone della
azienda, sepolta dal carniccio esausto, ci volle molto tempo a pulirla e
deodorarla ma poi tornò come nuova.
MIRO VLAD
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