Dal diario di G. SERVADEI
1949 – ALLA MANGELLI.
LA REPRESSIONE DI UNO SCIOPERO: LA DIFFICILE RICERCA DI UN NUOVO LAVORO.
Corteo del 1° maggio 1956
Ho rispolverato due vecchi quaderni sui quali vi sono
scritti i diari di un periodo dell'ultima guerra: Leggendo qualcosa di questi
di nuovo mi è preso la voglia di riprendere ad elencare i fatti salienti della
mia vita e quella delle cose che succedono nel tempo. Ritengo doveroso
ricominciare col ricordare in po' il passato che rimane tra i diari e l'oggi.
Fine della guerra: la vita riprende lentamente, sono
arrivato ad andare a lavorare dalla Fumisteria, fabbrica di stufe, sita in Via
Maceri, con la speranza che la S.I.D.A.C. fabbrica [ mi riassuma], dove vi ho
lavorato 5 anni prima di andare al militare. Il quale mi portò via 59 mesi di
gioventù, dei quali 23 mesi in altre terre (Grecia)
Lavoravo con poca soddisfazione, sognavo il lavoro vecchio,
finalmente dopo 9 mesi ritornai al posto sognato. Ciò avviene nel 1945. Nel 49
una agitazione di categoria che durò a Forlì per quasi 90 giorni mi fu regalato
il licenziamento con altri 217 compagni di lavoro.
Purtroppo da noi il padrone Mangelli da padrone si
comportò, perché il fronte degli operai non fu compatto. Si partì tutti assieme
e al 60° giorno assieme Repubblicani e
democristiani ruppero questa unità per la sua [loro] scarsa coscienza di classe
e chi rimase coi resistenti giustamente, perché la categoria avesse la sua
vittoria in campo nazionale <come avvenne> 218 operai, in prevalenza i
più attivi e i più convinti di aver chiesto l'onesto e il giusto, furono, come
ho detto, colpiti dal licenziamento.
Disoccupato, due figli e la moglie in stato interessante
questa era la mia situazione: risparmi nessuno, perché impossibile. Si
cominciava un calvario irto di difficoltà sopratutto perché ero ammalato. I
dottori mi accusavano [diagnosticarono
una] ulcera allo stomaco.
Ho durato due anni a fare debiti e nella più squallida
miseria si viveva sperando di trovare un altro lavoro. Le difficoltà erano
grandi perché il marchio dei 218 licenziati non ti permetteva di chiedere
lavoro in nessun posto, perché ciò? Ognuno di noi rappresentava un pericolo per
il padrone, quindi niente lavoro per noi.
Un certo Santolini già aveva cominciato a vendere l'olio
d'oliva. Anche lui era un compagno di sventura, però nel suo lavoro scelto ci
trovava la possibilità di mantenere la famiglia.
Io ero un po' più sbandato e direi un po' sfiduciato di
tutto, quando questo Santolini mi indirizzò perché anch'io mi mettessi a fare
il suo lavoro.
Cominciai con la bicicletta e due fiaschi andando dai miei
più intimi compagni, tutto sommato dopo un po' di mesi ricavavo quel tanto da
vivacchiare, ma non era sufficiente, bisognava trovare un lavoro. Si aprì la
Giova, fabbrica di cioccolato e dopo una serie di acrobazie col padrone perché
anche lui non mi voleva, entrai e cominciai a pagare i debiti, il lavoro
dell'olio lo svolgevo lo stesso, anzi si allargava piano piano.
Anche L. [il figlio
minore] cresceva sano e robusto come gli altri due L. e L. (due gemelli nati
per [durante] l'invasione il 20.3.1944). Io stavo sempre poco bene per il mio
stomaco e i dottori mi curavano per ulcera duodenale come risultava dalle
lastre radiologiche.
Presso questa fabbrica di cioccolato vi ho lavorato per due
inverni: 1952 - 1953. Poi si chiuse e io non avevo tralasciato il lavoro di
ambulante d'olio continuai, con quel lavoro tiravo a campare. Già mi ero
comperato il motorino < emutor 45 di
cilindrata> per fare il lavoro con
miglior scioltezza così recuperavo tempo.
Piano piano il mio lavoro si allargò da vivere con meno
preoccupazione.
Nel frattempo ebbi una forte crisi per la mia malattia che
stetti quasi 6 mesi a non lavorare. La fiamma del lavoro la tenne accesa mia
moglie
(segue ...)
Stand della"Mangelli" alla Fiera autarchica di Cesena - fine anni '30
L'area della Mangelli oggi
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