Tratto dal libro: "Poi venne la fiumana" di Palmiro Capacci
La Bionda e la Mora
Che
vacche!
(I buoi
Andate a dire ai buoi che vadano via che il loro lavoro non ci serve più che oggi si fa prima ad arare col trattore. E poi commoviamoci pure a pensare alla fatica che hanno fatto per migliaia d'anni mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa dietro la corda lunga del macello.)
Poesia di Tonino Guerra
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I bu
Andè a di acsé mi bu ch' i vaga vèa, che quèl chi à fat i à fat, che adèss u s'èra préima se tratòur. E' pianz e' còr ma tòtt, ènca mu mè, avdài ch'i à lavurè dal mièri d'an e adès i à d'andè vèa a tèsta basa dri ma la còrda lònga de mazèl |
La
Bionda e la Mora erano proprio delle gran
vacche, nel senso biologico del termine.
Erano le nostre mucche di quando eravamo
contadini, a Fasfino. Il fatto che
avessero un nome testimonia già che non fossero animali qualunque, non erano
solo strumenti animati, ma soggetti con cui relazionarsi. Avere un nome proprio
era una particolarità riservata solo a uomini, cani, cavalli, asini e per l’appunto alle mucche,
nemmeno ai gatti si dava un nome, ancor oggi non abbiamo questa abitudine.
La
Bionda e la Mora erano di razza
romagnola, anche se davano latte e vitelli erano principalmente vacche da
lavoro: tiravano l’aratro nei campi, con loro ci si recava nel campo con la
treggia per trasportare i covoni del grano, fieno, legna o letame; si andava in
paese col carro, insomma erano il trattore e il camion dell’azienda contadina.
Erano aggiogate in coppia, la bionda sempre a sinistra, la mora, che era un po’
più grande, a destra. L’aratura era un lavoro pesante che sfiancava le bestie
(la mucca era la bestia per antonomasia, ma questo termine assumeva nel
contesto un connotato non negativo, tutt’altro). Paolina parlava spesso con
compassione della fatica che dovevano sopportare quelle “povere bestie” in
questi momenti.
Le mucche in sostanza condividevano la
fatica del contadino, per questo si creava un rapporto di solidarietà ed
affetto. La vita delle vacche da lavoro era molto dura, ma non per tutto
l’anno, avevano periodi di riposo e penso anche di serenità, andavano al
pascolo e di tanto in tanto facevano una gita fino al podere dove abitava il
toro. Ho sempre pensato che la vita dei bovini nei moderni allevamenti sia
enormemente peggiore, specialmente per le lattifere: sempre al chiuso, ferme
nella loro posta, a mangiare e produrre latte, fanno dei figli che nemmeno
vedono, escono solo quando è il momento per andare al macello e anche la
monta è loro negata (la fecondazione è
sempre artificiale).
Conoscevo molto bene le mie mucche, avendo
il compito di portarle al pascolo insieme alle pecore (tre bianche e una nera)
quando rientravo da scuola. Le due mucche erano tranquille, ubbidienti, con
un’andatura vivace, leggiadra, quasi da manze nonostante fossero adulte.
Portare gli animali al pascolo non era un brutto lavoro, bastava buttare
un'occhiata agli animali di tanto in tanto, anche se le pecore erano un pochino
più indisciplinate e talvolta bisognava
andarle a riprendere. C’era tutto il tempo di giocare alla guerra contro nemici
immaginari dal momento che ero solo. Nostra madre insisteva perché si prendesse
su il libro di scuola per studiare mentre pascolavano, ma ciò non era esente da
rischi: a Giovanni il sussidiario fu interamente distrutto dalla maiala e a
Maura fu divorato dalla capra. Bisognava fare particolare attenzione solo
quando le bestie pascolavano vicino ad un campo di “spagnêra” (Erba Spagna), perché erano ghiotte di questa erba, che
quando è fresca è molto pericolosa perché fermenta in pancia fino a farle
morire fra atroci dolori.
La
Bionda e la Mora furono vendute poco
prima della nostra migrazione a Forlì. Partirono da Fasfino per fare il
percorso a piedi fino a Cusercoli, erano alla cavezza senza nulla da trainare,
quindi assunsero un’andatura con passo leggero, inconsapevole, con le code che
svolazzavano a destra e a sinistra, la qual cosa apparve, a chi sapeva che non
sarebbero più tornate, assolutamente fuori luogo. Le guardammo finché non
sparirono dietro la curva, nessuno per tutto il tempo si era mosso e aveva
detto una parola, notammo solo allora che il volto di Paolina era solcato da
silenziose lacrime.
Foto di E. Pasquali
Foto di E. Pasquali
Foto di E. Pasquali
Foto di E. Pasquali
Foto di E. Pasquali
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