Incontri notturni: l’uomo nero, anzi
no (estate ’44)
Episiodo aggiunto a "POI VENNE LA FIUMANA " dopo la pubblicazione del libro
Dal 1936 i contadini dovevano portare il grano
all’ammasso: vale a dire consegnarlo i Consorzi Agrari che ne fissavano il
prezzo di vendita, trattenendo solo una parte per l’autoconsumo. Del grano
rimasto presso l’azienda, una parte era accantonata per la semina autunnale:
era un quantitativo consistente perché le rese agrarie in collina non erano
elevate, meno della metà di quelle attuali, in quanto non si disponeva dei
concimi chimici, poi le arature con buoi e mucche erano meno efficaci, infine
perché si mettevano a cultura anche appezzamenti di terreno marginali in cui
poteva perfino capitare che talvolta la resa fosse addirittura inferiore al
seminato.
La quota di grano destinata al consumo famigliare non
era subito trasformata in farina, ma tenuta in deposito presso il podere, era
portata a macinare di tanto in tanto, all’occorrenza, ciò perché il grano si
conservava meglio della farina, poi i mulini non avevano la potenzialità di
macinare il grano in un breve tempo,
specialmente d’estate quando d'acqua per la macina ce n’era assai poca.
Naturalmente i contadini conferivano mal volentieri il
grano all’ammasso, specialmente nel periodo della Repubblica Sociale quando
agli evidenti motivi d'ordine economico si aggiungevano quelli politici,
nell’estate del ’44 poi la
Resistenza lanciò la parola d’ordine di non consegnarlo per
nulla per evitare che fosse spedito in Germania. Era prassi diffusa che le aziende
agricole dichiarassero un minor raccolto; per i coltivatori diretti era più
facile, per quanto riguardava i mezzadri essi dovevano mettersi d’accordo col
padrone del fondo, che normalmente si raggiungeva, anche quando era uno dei
soggetti era filofascista, perché si sa che “gli affari sono una cosa e la
politica è un’altra cosa”.
I contadini spesso per recarsi al mulino partivano nel
pomeriggio in modo da raggiungerlo quando faceva buio, così da macinare il
grano di notte per eludere la sorveglianza. Trascorrevano la notte presso il
mulino controllando la macinazione del proprio grano. Questa era una prassi
seguita anche nei momenti di normalità in quanto si voleva verificarne la resa
e assicurarsi che il frumento non fosse scambiato con altro di peggior qualità.
Al primo chiarore della mattina ripartivano per tornare a casa con la farina e
la crusca. Il mugnaio era generalmente pagato in natura con una parte della
farina ricavata.
Una volta cui era toccato a nostra madre tale
incombenza, mentre attendeva nella notte il proprio turno, arrivò una staffetta
ad informare che stava per arrivare una squadra della milizia fascista (GNR) a
controllare il mulino. Cominciò il fuggi fuggi dei contadini. Il mugnaio si
rivolse a Paolina dicendole: “ Mi
dispiace signora, ma qui non potete rimanere, bisogna che andiate …”; l’aiutò a caricare il grano non
ancora macinato sulla mula. Nostra madre gli chiese se poteva prestarle un
sacchetto di farina, perché a casa non ne avevano più, gliela avrebbe
restituita appena avesse potuto tornare a macinare. Il mugnaio gliela procurò.
Fare il viaggio di ritorno di notte da sola in quei
tempi, per quei sentieri le procurava una forte angoscia, ma non vi erano
alternative, per fortuna il cielo era sereno ed illuminato dalla luna, perciò
il sentiero si riusciva a vedere; ciò che più spaventava erano i possibili
incontri indesiderati di fascisti o comuni delinquenti.
Paolina, presa la mula per la cavezza, s'inoltrò per
il sentiero tenendo sotto controllo la paura, se avesse potuto avrebbe fatto la
strada di corsa, allora era giovane, ma la sciancata mula caricata del grano
procedeva col solito immutabile passo e lei stessa procedeva a fatica in quanto
si era caricata sulle spalle il bianco sacco della farina per non gravare
troppo la povera bestia.
Piano piano, tesa, col cuore in gola e lo sguardo
rivolto a terra per verificare dove metteva i piedi, procedeva lungo il
sentiero attenta ad ogni ombra sospetta, sussultando ad ogni rumore: non vedeva
l’ora di arrivare a casa.
All’improvviso una massa silenziosa e scura con un
balzo felino precipitò dall’alto della scarpata fino a cadere con un gran tonfo
in mezzo al sentiero, proprio a pochi passi di fronte a lei, dopo qualche
istante la massa scura col chiarore della luna prese le sembianze di una sagoma
umana con le braccia che si allargavano dal corpo, nella mano stringeva un
mitra; pur non vedendo il volto rimasto nell’ombra s'intravedeva una lunga
barba che arrivava a metà del petto. Il terrore la permeò tutta.
La scura massa umana proferì una frase: “Sposa allora volete proprio farvi uccidere
…” ( Sposa, alora a vliv propri fev mazē …).
La frase che potrebbe sembrare minacciosa, invece, la rincuorò perché riconobbe
la voce di Duilio Piolanti, non a caso soprannominato Berba. La voce continuò: “ …
ad andare in giro di notte di questi tempi con un sacchetto bianco sulle spalle;
vi si può vedere e sparare da lontano”, evidentemente l’aveva riconosciuta
nell’oscurità dal tipico procedere della sua bestia da soma. Lei raccontò
quanto era successo al mulino. Lui prima di farla ripartire le mimetizzò il
bianco sacchetto con uno straccio scuro e le raccomandò di stare attenta,
perché quella notte c’era in giro della brutta gente.
Dai racconti di nostra madre mi sono fatto l’idea che
le entrate in scena teatrali ben si confacevano a Duilio.
Nessun commento:
Posta un commento