9 febbraio Presentazione del libro a la Ca' de Sanzues di Predappio Alta
Dal libro " La foja de farfaraz. Predappio: cronache di una comunita viva e solidale"
Gilberto Cappelli (Bangiera) (1884 – 1951)
Viveva a Predappio Alta Cappelli Gilberto
detto Bangiera (Bandiera), carrettiere, il quale ogni sera, rientrando
dall'osteria, era solito togliersi il cappello davanti alla moglie che assieme
alle vicine recitava il S. Rosario. Socialista moderato di area
"saragattiana", sosteneva di non avere mai pronunciato una bestemmia
in vita sua, perché non s'impreca contro qualcuno se non si crede alla sua
esistenza. Minacciato dai fascisti, non potendo esprimere liberamente le sue
idee, dimostrò il suo dissenso nei confronti del regime rinunciando ad andare
all’osteria per vent'anni. Rifece la sua comparsa nella piazza del paese il
giorno della Liberazione, accompagnato da uno stuolo di ragazzini che
gridavano: “Bangiera le scapè! “(Bandiera è uscito da casa!).
Bangiera e la fója dl’albaraz
Un giorno il Duce in visita a Marsignano,
parrocchia natale della sua famiglia, si fermò lungo la “circonvallazione” di
Predappio Alta dove Bangiera stava preparando il carro per recarsi al lavoro.
Mussolini fece fermare l'automobile su cui viaggiava, salutò il Cappelli che
conosceva personalmente e gli chiese “Allora Bangiera cal tu dì dla
situazion?” (Allora Bandiera cosa pensi della situazione politica?) e il
carrettiere rispose: “Me a deg, s-gnor presidént, che la fója dl’albaraz
l’an me mai piasuda” (Io dico, signor presidente, che la foglia del pioppo
non mi è mai piaciuta) alludendo al cambiamento della linea politica del Duce
che lui considerava un vero tradimento. La foglia del pioppo bianco, che segue
ogni cambiamento della direzione del vento mutando di colore a seconda della
parte di foglia esposta, è, nella cultura popolare, sinonimo di voltagabbana.
L'allora capo del governo cercò di
giustificare il suo operato adducendo come motivo le difficoltà dei tempi, ma
il vecchio compagno di partito non lo ascoltò e si chiuse in casa.
L'integrità e la coerenza del personaggio
era riconosciuta da tutti, tanto che, come ricorda la nipote, al suo funerale,
svoltosi con una cerimonia civile, parteciparono molti sacerdoti in abito
secolare che vollero dimostrargli per l'ultima volta la loro amicizia e il loro
rispetto.
Storie di “voltagabana”
I “voltagabana”: fascisti e antifascisti
“Voltagabana” è una parola e un'espressione del dialetto romagnolo che
alla lettera significa rivoltare la giacca, la “gabäna”, metafora di coloro che
facilmente, per opportunismo, viltà e meschini interessi, cambiano opinione,
ideali, credo politico e religioso e passano dall'altra parte. Costoro
rivoltano la giacca per cambiarne il colore e nascondersi così per la vergogna
di fronte ai compagni e agli amici di prima. Nella tradizione delle genti di
Romagna la sincerità, il parlar schietto, la parola data sono valori
fondamentali per l'onore di una persona. In passato nelle case, nelle piazze,
nei mercati la parola data sancita da una stretta di mano ha siglato tanti
accordi e contratti d'affari che oggi devono essere sottoscritti e soffocano in
tanti fogli ed atti burocratici. E in Romagna “voltagabana” è un'espressione
colorita e pungente, frutto della fantasia popolare e del sarcasmo ironico dei
romagnoli, per deridere, colpire e disprezzare quelle persone che per
opportunismo, interessi meschini, servilismo e ambizione cambiano parere e
partito e non rispettano accordi e patti stabiliti.
Il
numero uno, storico, dei “voltagabana” di Predappio è stato Benito Mussolini,
il Duce del fascismo, figlio di Alessandro Mussolini, un socialista anarchico,
fabbro di Dovia. Il padre Alessandro Mussolini chiamò il figlio Benito Amilcare
Andrea: Benito in onore del rivoluzionario indipendentista messicano, eroe
nazionale, che fu il primo indio a diventare, a metà del 1800, presidente del
Messico; Amilcare, in onore dell’amico Amilcare Cipriani, Garibaldino anarchico
romagnolo che lottò contro lo Stato Pontificio e fu tra i fondatori del
movimento anarchico socialista in Italia; Andrea, in onore di Andrea Costa di
Imola, anch’egli conoscente amico di Alessandro Mussolini, anarchico e poi
socialista, fondatore dell’Avanti, il giornale del Partito socialista e primo
deputato socialista del Parlamento d’Italia. Benito Mussolini, allora
socialista, nel 1910 sarà presente al funerale di Andrea Costa ad Imola.
Benito,
in gioventù, fu un socialista convinto, di temperamento ribelle, che fu protagonista
di tante manifestazioni del Partito Socialista ed anche di numerosi episodi di
sovversione e sabotaggio contro le istituzioni dello Stato, la borghesia e il
clero. In un primo tempo sostenitore del non intervento dell'Italia nella
guerra del 1915-18, divenne un autorevole esponente nazionale del Partito
Socialista Italiano. Poi negli anni divenne un sostenitore interventista
dell'entrata in guerra dell'Italia e nell'immediato dopoguerra fondò il
Movimento fascista. Valido organizzatore, abile oratore, populista e demagogo,
per avere il consenso politico si scontrò con i partiti della Sinistra, il
“suo” Partito Socialista e il Partito Comunista fondato nel 1921 allora
maggioritari nel Paese, con la Lega dei contadini, con i sindacati degli operai
e per questo fu aiutato e finanziato dai grandi proprietari terrieri della
pianura padana e dalla grande Borghesia italiana. “Fortunatamente” il padre
Alessandro morto nel 1910 non vide tutto questo e comunque si sarà rigirato più
volte nella tomba. Mussolini socialista e poi Mussolini fascista è storia
nazionale e internazionale scritta e documentata in decine di testi e alcuni
episodi sono stati riportati anche in altre pagine di questo libro.
(Omissis)
“I vleva sémpra sparè”
(volevano sempre sparare)
A
proposito di “voltagabana” occorre riportare anche qui la testimonianza di
Ferlini Giuseppe citata in altra parte di questo libro. Ferlini ha raccontato
più volte che nei mesi successivi l'8 settembre del ‘43 diversi fascisti, che
comunque non erano implicati in gravi episodi, fiutato il vento delle sorti
della guerra, “i vulteva gabäna” (voltavano la giacca) e disertavano dalla
milizia e dalle brigate fasciste per andare a combattere con i partigiani.
Questi “voltagabana” venuti dalle fila fasciste spesso diventavano i più
temerari e facinorosi, forse per dimostrare a se stessi ed agli altri di essere
affidabili. “I vleva sempra sparè e me a i duveva badè” (volevano sempre
sparare e io li dovevo badare) per non compromettere la strategia militare sul
territorio dell'organizzazione partigiana. Infatti in certi periodi era inutile
rischiare rappresaglie dei tedeschi pericolose per i partigiani e le
popolazioni del posto. “Me a duveva pinsè a dè da magnè a tot” (Io dovevo
pensare a procurare da mangiare a tutti) che, in quei mesi di crescita e
organizzazione delle forze partigiane in collaborazione con gli Alleati, era la
cosa più importante da fare.
(Omissis)
“Lui no”
Un
altro episodio accaduto ai reduci di Salò dopo il 25 aprile del ‘45 che si
racconta a Predappio è quello di Gaspare Laghi, conosciuto come “Gasparìn”. Nei
primi anni dopo l'avvento del Fascismo nel 1922, Laghi Gaspare era uno dei
pochi giovani che a Predappio non avevano ancora aderito al Partito Fascista. A
Predappio, il paese del Duce, come si può ben capire, il richiamo e la
pressione del Partito Fascista erano più forti che altrove e Laghi fu provocato
e picchiato da alcuni militanti fascisti tra cui una certa persona di
Predappio. In seguito però Laghi aderì al Partito Fascista, anche convintamente,
tanto da rimanerne coinvolto ed essere rimasto a combattere, dopo l'8 settembre
del ’43, nella Repubblica di Salò. Alla fine della guerra, al suo ritorno a
casa dal Nord Italia, vicino a Predappio fu preso anche lui da un gruppo di
picchiatori antifascisti che aspettavano i reduci di Salò per dar loro una
“lezione”. E tra gli antifascisti picchiatori c'era anche quella persona che a
suo tempo lo aveva menato perché non voleva aderire al Partito Fascista. Laghi,
guardandolo in faccia con disprezzo e indicandolo agli altri che lo stavano per
picchiare, disse: “Picim tot ma ló, no!” (picchiatemi tutti ma lui, no).
Camicia nera e bandiere rosse
Sulla
base di testimonianze, tramandate ormai da due generazioni, è molto curiosa la
storia di Angelo Ciaranfi. Nato nel 1890, Ciaranfi aveva aderito al Partito
Socialista impegnandosi nel Sindacato della Lega diventando poi Sindaco di
Predappio dal 1920 al 1922, dopo Ciro Farneti. Ciaranfi è stato l'ultimo
Sindaco socialista di Predappio prima dell'avvento nei comuni del Podestà
fascista. Occorre precisare che allora Predappio era l'attuale Predappio Alta,
il Comune che comprendeva a valle il borgo di Dovia (due vie) dove è nato B.
Mussolini e dove sarà costruita la nuova e attuale Predappio. Ciaranfi era un
personaggio un po' burlone ed estroverso e gli piaceva raccontarsi come quella
volta che, a suo dire, ad un convito dei sindaci nel palazzo del Prefetto di
Forlì, con tanto di maggiordomo in livrea che, battendo il bastone sul
pavimento, zittiva la sala e annunciava l'entrata degli ospiti, lui,
accompagnato dalla sua signora e dal segretario comunale, si fece presentare
come “Sindaco di Predappio Angelo Ciaranfi, Conte di Timbro” trasformando e
nobilitando il suo soprannome “Timbroc” (Ti inchiodo) con cui era conosciuto a
Predappio. A Vitignano, in dialetto “Vargnan”, un borgo sulle colline tra
Predappio e Meldola vicino alla Rocca delle Caminate, di fronte a un centinaio
di persone, soprattutto contadini, mezzadri e braccianti del posto, diventò
famoso un suo comizio per la sua apertura con “Popolo di Vargnano (traduzione
personale di “Vargnan” in italiano) siete un popolo fesso (di fregati)…” e poi
avanti con le rivendicazioni a cui avevano diritto e le lotte che dovevano
fare. Comunque Ciaranfi era un tipo generoso che sapeva farsi voler bene e
seguire dalla gente.
Ciaranfi
ha retto l’Amministrazione del Comune di Predappio negli anni 1921 e 1922
subendo le pressioni, le minacce, le provocazioni dei possidenti, dei notabili,
dei clericali che si erano coagulati nel nascente Partito fascista e pagavano e
mandavano avanti le squadre di picchiatori fascisti contro le Amministrazioni
di Sinistra, le Case del popolo, la Lega dei contadini. I raid e le incursioni
delle squadre fasciste, foraggiate e sostenute dalla Destra economica e
clericale del Paese, si intensificarono, con il tacito consenso dei prefetti e
delle forze dell’ordine, fino a culminare nella Marcia su Roma con il
conseguente avvento della dittatura fascista di Benito Mussolini. Il Comune di
Predappio sarà uno degli ultimi comuni della Romagna a cedere e il Sindaco
Ciaranfi e la sua Amministrazione dovranno rassegnare le dimissioni nel
novembre del 1922.
Dopo
alcuni anni dall'avvento del Fascismo dell'ex compagno B. Mussolini, ammaliato
e coinvolto dai successi, dalla propaganda e dalla prosopopea fascista,
Ciaranfi aderì convintamente al Partito Fascista. In seguito, pur non avendo
avuto alcun incarico nel partito, forse per alcuni favori personali e familiari
ricevuti, arrivò al punto di redigere nel testamento di voler essere sepolto
con la divisa e la camicia nera fascista. Nelle manifestazioni e nelle parate
fasciste era fiero di esibire in pubblico alcune onorificenze ricevute e
rivalutate dal Fascismo per la Prima Guerra Mondiale. E’ opportuno qui precisare
che anche la camicia socialista era nera ma con i bottoni rossi e comportava al
collo un fiocco nero anziché la cravatta nera della divisa fascista. Dopo il
disastro e la tragedia della guerra, con la disfatta del Fascismo, Ciaranfi, il
buon Ciaranfi, capì amaramente che aveva preso un grosso abbaglio e tornò
politicamente sui suoi passi aderendo e impegnandosi di nuovo nel Partito
Comunista Italiano che era stato il partito più importante della guerra
vittoriosa della Resistenza partigiana. Il Partito Comunista Italiano era nato
nel 1921 da quel Partito Socialista in cui Ciaranfi aveva per tanti anni
militato. E Ciaranfi, dopo la Liberazione, in rappresentanza del Partito
Comunista fece parte della giunta del Sindaco Ferlini Giuseppe. In quegli anni
lo svolgimento e il susseguirsi tumultuoso degli eventi avevano trasformato e
rivoluzionato la vita di Ciaranfi e di tanti italiani e forse per questo
Ciaranfi si era scordato di rivedere il suo testamento. Così quando nel giugno
del 1948 Ciaranfi morì, il testamento non era stato cambiato e alla lettura del
testamento la notizia che il compagno comunista Ciaranfi, il cui feretro
sarebbe stato accompagnato dalle bandiere rosse del P.C.I. al suono
dell'Internazionale Socialista e di “Bandiera rossa”, doveva indossare la
camicia nera fascista ci fu grande imbarazzo e costernazione tra i compagni e
indecisione sul da farsi. Qualcuno avanzò l'ipotesi che essendoci stata una
palese dimenticanza di Ciaranfi si poteva sorvolare su quella clausola del
testamento, ma il necroforo, a conoscenza del fatto, si oppose dicendo che lui
non avrebbe mai dato sepoltura al defunto senza rispettare quello che stava
scritto nel testamento a tal proposito. Alla fine, non senza dubbi e qualche
contrasto, si optò per una breve esposizione della salma con indosso la divisa
fascista e la camicia nera davanti ai familiari e a pochi intimi e poi, chiusa
la cassa, funerale civile con la banda musicale e le bandiere rosse del Partito
Comunista.
Il libro nella vetrina della libreria Feltrinelli di Forlì
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