I forestieri nella Resistenza della Provincia di Forlì
Otto Balekta partigiano austriaco dell' 8° Brigata Garibaldi
Nella Provincia di Forlì, allora comprendente anche Rimini, sono
stati catalogati 4.108 partigiani e 2.531 patrioti, per un totale di
5.948 uomini e 691 donne. Di questi ben 950 pari al 14,3% erano nati
fuori Provincia, la gran parte proveniva dalle province limitrofe,
troviamo n. 235 pesaresi, n. 70 aretini, n. 68 fiorentini e 165
ravennati, mentre relativamente pochi sono gli emiliani: n. 61 di cui
33 bolognesi e 13 ferraresi. Vi sono poi 67 italiani nati all’estero
che per la quasi totalità vanno considerati “Forlivesi” perché
figli di emigrati dal nostro territorio.
La forte partecipazione di marchigiani e toscani rispetto agli
emiliani si spiega per la conformazione del nostro territorio. La
resistenza armata si è svolta per gran parte sull’Appennino che è
a ridosso con Marche e Toscana. Nel versante romagnolo il territorio
è intercalato da valli che, grosso modo, sono parallele alla linea
longitudinale e confluiscono nei “cittadoni” della Via Emilia.
Per una formazione clandestina era più facile spostarsi lungo i
crinali delle valli che spostarsi in altre valli poco conosciute,
perdendo i collegamenti con le basi logistiche delle città di
riferimento. Nel riminese e nel pesarese il territorio è un po’
diverso ma anche da quella parte era più facile dirigersi verso il
crinale per trovare un territorio adatto alla guerriglia. La
Provincia di Ravenna è un caso particolare, come territorio
rappresenta in parte il prolungamento della pianura, il confine è
solo amministrativo e non naturale. Va poi precisato che nei primi
tempi della Resistenza diversi partigiani ravennati furono inviati
sull’Appennino perché all’inizio si riteneva impossibile la
guerriglia in pianura.
Molti ravennati sono poi presenti nel Battaglione Corbari in quanto
ha operato a cavallo fra le due provincie. La formazione romagnola
che ha una maggior presenza di forestieri è tuttavia l’8a
Garibaldi che operava appunto sull’Appennino, mentre la 29a
GAP e le SAP (Squadre d’Azione Patriottiche) erano più
territoriali e operavano in prevalenza nella pianura e nei centri
urbani.
Negli elenchi ufficiali si registra pure la presenza di una
quarantina di stranieri, questo numero è stato stimato togliendo dai
n. 105 i partigiani e patrioti nati all’estero quelli che hanno un
cognome italiano, oppure, anche se con nome slavo, sono nati in
Istria allora italiana o nella Repubblica di San Marino.
Gli stranieri così individuati sono 38, tutti maschi e giovani,
tranne una donna. Per la maggior parte (n. 22) sono ex prigionieri
di guerra Sovietici fuggiti; erano in Italia perché impiegati in
lavori dall’esercito tedesco. Quasi tutti provengono delle regioni
meridionali (Caucaso e Dombass). Troviamo anche 4 polacchi, 3
Cecoslovacchi, 5 jugoslavi, un belga e n. 1 o 2 austriaci che
disertarono dalla Wehrmacht.
La Mortalità fra i partigiani è stata elevata, superiore al 10%, ma
fra quelli nati fuori provincia sale addirittura al 16%. D’altra
parte molto alta è anche la percentuale della mortalità dei
forlivesi deceduti operanti in formazione di altre provincie della
nostra regione: il 13,4% (51 uomini e due donne). Evidentemente chi
operava fuori del proprio territorio era più esposto, aveva meno
rifugi e soprattutto era a tempo pieno in prima linea. Sorprende
quindi che negli elenchi fra i 38 stranieri vi sia un solo deceduto:
l’austriaco Otto Balekta sorprende pure che n. 4 sovietici siano
stati classificati patrioti e non partigiani come sarebbe stato
logico nel loro caso. La bassa mortalità degli stranieri è dovuta
certamente anche al loro addestramento militare, più elevato della
media dei partigiani locali che in molti casi non avevano nemmeno
fatto il militare.
In realtà la compilazione degli elenchi dei partigiani stranieri
specialmente sovietici è molto lacunosa in quanto essendo quasi
tutti rientrati in Patria erano meno interessati dal riconoscimento
ufficiale dello Stato italiano. Si fa presente che gli elenchi per il
riconoscimento della qualifica di partigiano furono stilati secondo i
criteri dettati dalle leggi vigente due-tre anni dopo la Liberazione.
Della incompletezza dell’elenco dei partigiani sovietici ne dà
testimonianza una lettera del comandante del distaccamento slavo
dell’ 8a Brigata Sorokin Sergej al comandante
partigiano Rodolfo Collinelli del 20/12/1966, in cui riferisce di
alcuni soldati sovietici che hanno operato come partigiani nella
nostra zona, parla anche di due deceduti e probabilmente non sono gli
unici. I nomi che Sorokin nomina non sono nell’elenco dei
partigiani e nemmeno lui è menzionato pur avendo avuto un ruolo di
rilievo. Probabilmente con la disfatta subita a seguito del
rastrellamento molte informazioni andarono perse ed al termine della
guerra gli stranieri non erano più qua per ricomporle o più
semplicemente molte delle loro schede sono andate perse. Sorokin nel
libro dei suoi ricordi “La stella garibaldina” parla di un
distaccamento slavo (russi, jugoslavi e cecoslovacchi) di 80 circa
combattenti, anche se la cifra è ritenuta “arrotondata per
eccesso”, certamente gli stranieri che operarono nella Resistenza
forlivese furono molti di più di quelli registrati ufficialmente.
Si può supporre che questo mancato interesse possa anche derivare da
una sorta di diffidenza verso gli ex compagni di lotta sovietici, in
quanto rientrati in patria furono in massa sottoposti a controlli per
individuare i collaborazionisti col nemico. Forse ha giocato anche un
certo localismo. Dalle testimonianze dei vecchi partigiani ho
riscontrato sia un sentimento di grande ammirazione per il loro
coraggio e qualità di combattenti, sia un atteggiamento che mi è
parso un certo distacco e non desiderio di approfondire l’argomento.
Tensioni col raggruppamento slavo nel primo periodo della Resistenza
sono d’altra parte note e documentate. Le brigate partigiane si
formarono un po’ alla volta nell’inverno ‘43-44, ma gli
stranieri quasi tutti fuggirono dalla prigionia in occasione dell’
8 settembre o poco prima: si trovarono in un ambiente sconosciuto
ciò avrà determinato anche incomprensioni e tensioni, che si
risolsero con l’inquadramento nella riorganizzata Brigata
Partigiana.
Questi ragionamenti non valgono solo per i combattenti sovietici, ma
anche per gli altri stranieri. Di loro si sa poco, nelle ormai molte
pubblicazione sulla Resistenza il loro ruolo è trascurato, ne è un
caso emblematico il partigiano Otto Balekta, austriaco nato a Vienna,
profondamente antinazista. soldato della Whermacht disertò e fu fra
i primi ad unirsi alle formazioni partigiane, il suo ciclo operativo
è fra i più lunghi, infatti va dal 4/11/1943 al 5/11/1944 quando fu
ucciso a San Lorenzo in Comune di Meldola pochi giorni prima della
Liberazione mentre era “Componente di una pattuglia partigiana,
di guida a soldati alleati ...si scontrava con truppe tedesche e
veniva ucciso”. Esiste una sua foto con altri partigiani:
giovane, biondo, volto da ragazzo tranquillo, riconoscibile perché è
l’unico del gruppo ad impugnare un fucile mauser che si era portato
dietro disertando. Ho pensato che una simile figura dovesse
sollecitare perlomeno la curiosità, ma di lui non ho trovato altre
informazioni. Otto Baleckta non fu l’unico soldato austriaco
partigiano dell’ 8a Garibaldi. A Cigno di Civitella di
R. è posta una lapide, che riporta i nomi di 5 partigiani ivi
fucilati il 17 luglio 1944, uno di loro è “Giuseppe -
l’austriaco antifascista”. Da testimonianze raccolte fra gli
abitanti del posto si racconta che non fu fucilato come gli altri,
ma crudelmente ucciso i a bastonate.
Infine si precisa che se molti forestieri operarono nelle formazioni
della nostra provincia, successe anche il contrario. Ben 428
partigiani e 233 patrioti nati nella nostra provincia operarono in
formazioni di altre province della nostra regione, la gran parte era
tuttavia emigrata in quelle zone. A questi andrebbero aggiunti i
partigiani che operarono in altre regioni o all’estero di cui non
conosco il dato.
La Resistenza fu un evento con un forte radicamento locale, ma non fu
affatto un fenomeno localistico. Per concludere possiamo affermare
che i nostri partigiani furono orgogliosamente italiani e patrioti,
ma la loro patria non si fermava alla nazionalità, ma era aperta al
mondo intero: un mondo di giustizia e libertà per tutti gli esseri
umani.
Palmiro Capacci
Nadia Venturini e Sergej Sorokin
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