LA CASA DI VETRO DEI GATTI
(Le favole di Paolina)
(Le favole di Paolina)
Le
differenze tra la versione di Paolina e quella riportata da Calvino
raccolta nella zona di Otranto sono numerose, ad esempio a Otranto la
bambina non va sott’acqua, ma sottoterra, alla sorellastra le
cresce in fronte un sanguinaccio e non una coda di somaro e altri
particolari, ma la trama e la morale della storia sono le medesime.
In Romagna esiste anche una versione che vi assomiglia, in cui le due
sorellastre sono mandate a chiedere in prestito un setaccio da una
strega benevola, e con le si comportano come coi gatti, per il resto
la trama è la medesima.
C’era
una volta una bambina rimasta orfana della madre, il padre si sposò
con un’altra donna che aveva pure lei una figlia. La matrigna
voleva bene solo alla sua figliola e finché era vivo il marito cercò
di non mostrare preferenze fra le due bambine, ma quando il padre
morì, riservò ogni attenzione alla propria figlia a cui faceva ogni
regalo, la mandava in giro con dei bei vestiti e non le faceva fare
niente. Tutti i lavori doveva farli la povera ragazza orfana, ed era
mandata in giro con vestiti vecchi e logori.
Un
giorno la matrigna mandò la sfortunata bambina a fare il bucato
sulle rive del fiume, successe che mentre lavava i panni le scivolò
il sapone dentro l’acqua, lei per paura di essere sgridata e
picchiata quando fosse rientrata a casa si tuffò nell’acqua per
recuperarlo; entrò in un gorgo che la portò sempre più in basso.
Quando ormai pensava di morire affogata, vide con gran sorpresa che
sul fondo c’era un palazzo di cristallo, entrò dentro, si tolse
gli zoccoli per non rompere il pavimento, vide che il posto era
abitato da una moltitudine di gattini tutti affaccendati. C'era un
gatto che faceva il bucato, un gatto che attingeva acqua dal pozzo,
uno che cuciva, un altro che spazzava, uno che faceva il pane e un
altro che faceva la sfoglia. La ragazza si fece dare la scopa da un
gatto e lo aiutò a spazzare, ad un altro prese in mano i panni
sporchi e lo aiutò a lavare, poi tirò su l’acqua dal pozzo,
quindi infornò le pagnotte e soprattutto aiutò la gattina che
faceva la sfoglia, perché i gatti con le loro zampette fanno molta
fatica a “tirarla”.
A
mezzogiorno venne fuori una grossa gatta, che era la mamma dei
gattini, la quale disse: “Chi ha lavorato venga a mangiare, chi non
ha lavorato rimanga a guardare!”
Risposero
i gattini: “Mamma, abbiamo lavorato tutti, ma questa ragazza ci ha
aiutato tanto ed ha lavorato più di noi”.
“Brava
–
disse la gatta, –
vieni e mangia con noi”.
Si
misero a tavola, la ragazza in mezzo ai gatti e la mamma gatta le
diede le tagliatelle col sugo, un galletto arrosto ed infine anche la
ciambella; ai suoi figli invece diede solo pasta e fagioli, ma alla
ragazza dispiaceva mangiare da sola tutta quella buona roba e spartì
con i gattini tutto quello che la gattona le dava. Quando si alzarono
da tavola, la ragazza sparecchiò, sciacquò i piatti, spazzò la
stanza e mise tutto in ordine. Poi disse alla mamma gatta: “Signora,
ora bisogna che me ne vada, altrimenti la mia matrigna mi sgrida e mi
picchia”. Chiese se avesse visto il pezzo di sapone che le era
caduto.
Disse
la gatta: “Aspetta che voglio darti una cosa”.
Entrarono
in una stanza dove c'erano dei grandi armadi; alcuni erano pieni di
roba elegante con merletti e pizzi, dalle vesti alle scarpe, altri
contenevano roba più modesta, fatta in casa: gonnelle, giubbetti,
grembiuli, fazzoletti di seta, scarpe di vacchetta.
Disse
la gatta: “Scegli quel che vuoi”. La povera ragazza, che andava
scalza e stracciata, rispose: “Datemi un vestito fatto in casa, un
paio di scarpe di vacchetta e un fazzoletto da mettere al collo”. –
“No” –
disse la gatta”, sei stata buona con i miei gattini e io ti voglio
fare un bel regalo”.
Prese
il più bell'abito di seta, un grande fazzoletto con i merletti, un
paio di scarpini di raso e un bel pezzo di sapone nuovo, glieli
regalò e le disse: “Ora esci per quella galleria che ti porterà
fuori, quando sarai sul punto di uscire sentirai alle tue spalle
ragliare tre volte un asino, ma non ti voltare per nessun motivo ed
appena uscirai dalla galleria alza la testa verso il cielo”. La
ragazza, quando uscì sentì ragliare l’asino, ma ubbidiente non si
voltò. Alzò il capo, e le cadde una stella brillante in fronte.
Tornò a casa ornata come una sposa.
Chiese
la matrigna: “Chi te le ha date tutte queste belle cose?”. La
bambina le raccontò com'era andata.
La
matrigna non vedeva l'ora di mandarci quella vagabonda e dispettosa
di sua figlia e la mattina dopo le disse: “Vai figlia mia, così
avrai anche tu tutto come tua sorella”.
La
sorellastra si recò al fiume, gettò apposta il sapone nell’acqua
e scese giù fino alla casa dei gatti. Entrò senza togliersi le
scarpe e coi tacchi ruppe il pavimento. Al primo gatto che vide tirò
la coda, al secondo le orecchie, al terzo strappò i baffi, a quello
che cuciva sfilò l'ago, a quello che spazzava portò via la scopa e
gliela picchiò sulla testa, a quello che attingeva l’acqua prese
il secchio e lo gettò nel pozzo, alla micia che “tirava” la
sfoglia, prese il sacchetto della farina, glielo gettò addosso
infarinandola tutta: insomma non fece altro che dispetti per tutta la
mattina, e loro miagolavano, miagolavano.
A
mezzogiorno, venne la madre dei gatti e disse: “Chi ha lavorato
venga a mangiare, chi non ha lavorato venga a guardare!“ –
“Mamma, –
dissero i gatti, –
noi volevamo lavorare, ma questa bambina ci ha tirato la coda, ci ha
fatto un sacco di dispetti e non ci ha lasciato far niente!”.
–
“Bene!
–
disse mamma gatta –
andiamo a tavola” –.
Alla ragazza diede solo un pezzo di pane secco bagnato nell'aceto e
ai gattini maccheroni col sugo di carne, ma la dispettosa bambina non
faceva altro che rubare il mangiare ai gatti. Quando s'alzarono da
tavola, senza badare a sparecchiare, disse a Mamma Gatta: “Beh!
Adesso dammi la roba che hai dato a mia sorella”. Mamma Gatta
allora la fece entrare nel ripostiglio e le chiese cosa voleva. La
perfida bambina rispose –
“Voglio quella veste là che è la più bella! “Quegli scarpini,
che hanno i tacchi più alti” –
“Allora, –
disse la gatta, –
spogliati e mettiti questa roba di lana unta e bisunta e queste
scarpe chiodate di vacchetta tutte scalcagnate –.
Le annodò uno straccio di fazzoletto al collo e la congedò dicendo:
“Adesso vattene, e mentre esci sentirai ragliare un asino tre
volte, tu non ti voltare, tira diritto”.
La
ragazza uscì e sentì l’asino ragliare, ma non seguì i consigli
della regina dei gatti, pensando di vedere chissà quale tesoro, si
voltò e sulla fronte le comparì una lunga coda d’asino che le
scendeva sul viso.
Quando
arrivò a casa così conciata la mamma ne ebbe tanta rabbia che le
prese uno “schioppone” e morì. La sorellastra cattiva tanta era
la vergogna che non uscì più da casa e dopo qualche tempo tentò di
tagliarsi la coda d’asino che le era cresciuta in fronte e morì
anch’essa, dissanguata.
Mentre
la bambina buona e laboriosa rimasta sola ereditò tutto e diventata
grande si sposò un bel giovane e visse felice e contenta.
Tratta dal Mio libro " C'era una volta ...anzi appena ieri"
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