martedì 13 ottobre 2015

LA BIONDA E LA MORA. Che vacche!





Tratto dal libro: "Poi venne la fiumana" di Palmiro Capacci
La Bionda e la Mora
Che vacche!

(I buoi
Andate a dire ai buoi che vadano via
che il loro lavoro non ci serve più
che oggi si fa prima ad arare col trattore.
E poi commoviamoci pure a pensare
alla fatica che hanno fatto per migliaia d'anni
mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa
dietro la corda lunga del macello.)
                          Poesia di Tonino Guerra

I bu
Andè a di acsé mi bu ch' i vaga vèa,
che quèl chi à fat i à fat,
che adèss u s'èra préima se tratòur.
E' pianz e' còr ma tòtt, ènca mu mè,
avdài ch'i à lavurè dal mièri d'an
e adès i à d'andè vèa a tèsta basa
dri ma la còrda lònga de mazèl



La Bionda e la Mora erano proprio delle gran vacche, nel senso biologico del termine.
Erano le nostre mucche di quando eravamo contadini, a Fasfino. Il fatto che avessero un nome testimonia già che non fossero animali qualunque, non erano solo strumenti animati, ma soggetti con cui relazionarsi. Avere un nome proprio era una particolarità riservata solo a uomini, cani,  cavalli, asini e per l’appunto alle mucche, nemmeno ai gatti si dava un nome, ancor oggi non abbiamo questa abitudine.
La Bionda e la Mora erano di razza romagnola, anche se davano latte e vitelli erano principalmente vacche da lavoro: tiravano l’aratro nei campi, con loro ci si recava nel campo con la treggia per trasportare i covoni del grano, fieno, legna o letame; si andava in paese col carro, insomma erano il trattore e il camion dell’azienda contadina. Erano aggiogate in coppia, la bionda sempre a sinistra, la mora, che era un po’ più grande, a destra. L’aratura era un lavoro pesante che sfiancava le bestie (la mucca era la bestia per antonomasia, ma questo termine assumeva nel contesto un connotato non negativo, tutt’altro). Paolina parlava spesso con compassione della fatica che dovevano sopportare quelle “povere bestie” in questi momenti.
Le mucche in sostanza condividevano la fatica del contadino, per questo si creava un rapporto di solidarietà ed affetto. La vita delle vacche da lavoro era molto dura, ma non per tutto l’anno, avevano periodi di riposo e penso anche di serenità, andavano al pascolo e di tanto in tanto facevano una gita fino al podere dove abitava il toro. Ho sempre pensato che la vita dei bovini nei moderni allevamenti sia enormemente peggiore, specialmente per le lattifere: sempre al chiuso, ferme nella loro posta, a mangiare e produrre latte, fanno dei figli che nemmeno vedono, escono solo quando è il momento per andare al macello e anche la monta  è loro negata (la fecondazione è sempre artificiale).
Conoscevo molto bene le mie mucche, avendo il compito di portarle al pascolo insieme alle pecore (tre bianche e una nera) quando rientravo da scuola. Le due mucche erano tranquille, ubbidienti, con un’andatura vivace, leggiadra, quasi da manze nonostante fossero adulte. Portare gli animali al pascolo non era un brutto lavoro, bastava buttare un'occhiata agli animali di tanto in tanto, anche se le pecore erano un pochino più indisciplinate e  talvolta bisognava andarle a riprendere. C’era tutto il tempo di giocare alla guerra contro nemici immaginari dal momento che ero solo. Nostra madre insisteva perché si prendesse su il libro di scuola per studiare mentre pascolavano, ma ciò non era esente da rischi: a Giovanni il sussidiario fu interamente distrutto dalla maiala e a Maura fu divorato dalla capra. Bisognava fare particolare attenzione solo quando le bestie pascolavano vicino ad un campo di “spagnêra” (Erba Spagna), perché erano ghiotte di questa erba, che quando è fresca è molto pericolosa perché fermenta in pancia fino a farle morire fra atroci dolori.
La Bionda e la Mora furono vendute poco prima della nostra migrazione a Forlì. Partirono da Fasfino per fare il percorso a piedi fino a Cusercoli, erano alla cavezza senza nulla da trainare, quindi assunsero un’andatura con passo leggero, inconsapevole, con le code che svolazzavano a destra e a sinistra, la qual cosa apparve, a chi sapeva che non sarebbero più tornate, assolutamente fuori luogo. Le guardammo finché non sparirono dietro la curva, nessuno per tutto il tempo si era mosso e aveva detto una parola, notammo solo allora che il volto di Paolina era solcato da silenziose lacrime.
 Foto di E. Pasquali

  1.  Rifugiati romagnoli a San Marino (1944)

 Foto di E. Pasquali
 Foto di E. Pasquali
 Foto di E. Pasquali
 Foto di E. Pasquali

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