domenica 15 dicembre 2013

FILASTROCCHE







QUI  E' RIPORTARATO UN PICCOLO ESTRATTO DELLE FILASTROCCHE CHE HO RACCOLTO. 
La versione completa è pubblicata , assieme a favole e racconti sull'infanzia contadina nel libro " C'ERA UNA VOLTA ... ANZI APPENA IERI  " Che sta uscendo in libreria ed è già a disposizione dell' autore.
e mail: palmiro.capacci@gmail.com




Le filastrocche romagnole riportate, raccolte nell’opuscolo  e dedicate  ai ragazzi del centro estivo ”Cusercolando”, sono alcune di  quelle che ci provengono dal secolo scorso.
Ho riportato quelle che da bambino cantilenavo  giocando  o che ho sentito dire da parenti, amici e conoscenti delle nostre zone : Valle del Bidente e del Rabbi, Forlimpopoli e Bertinoro.
Le filastrocche, le conte, le cante, i proverbi, le ninna nanna e le fiabe appartengono ad una cultura popolare che si trasmetteva da luogo a luogo eventualmente cambiando dialetto o particolari di una comune trama anche in regioni molto distati fra loro.
Le filastrocche, per loro natura facili da leggere e ricordare, erano trasmesse dai bambini e per i bambini anche se poco scolarizzati come nei primi decenni del secolo scorso.  A differenza delle poesie più astratte che a scuola si dovevano imparare a memoria, la filastrocca era di facile comprensione per il suo legame alla vita quotidiana e sulla base delle trasformazioni  sociali e di costume  era soggetta a rinnovarsi, a reinventarsi.   Infatti  con una maggiore scolarizzazione e coi giochi di gruppo negli asili infantili e nelle colonie, il dialetto lasciò il posto all’italiano, ma nei cortili o nelle aie contadine  spesso i due idiomi si intrecciavano con l’apporto di varianti o aggiunte determinate dalla creatività dei bambini.
Molte filastrocche della nostra terra si sono perse e nel dopoguerra in Romagna altre hanno sostituito quelle della cultura arcaica.  Non è un caso che i testi  riportati siano in gran parte in lingua italiana poichè il periodo storico di riferimento è quello della seconda metà del secolo scorso, periodo di profonda crisi in cui la “cultura romagnola” sempre più si è omologata al pensiero unico della società consumistica. Tuttavia la storia non passa invano e qualcosa rimane sempre anche se sotto traccia nelle tradizioni della popolazione ed è per non perdere il senso della nostra storia personale e collettiva che vi dedico queste filastrocche che fanno parte, anche se minima, del nostro patrimonio culturale e storico.



FILASTROCCHE


 LA SDENTATA
La sdintêda la fa i turtël
e la’n da gninta a i su fradël.
I su fradël i fa la piëda
e in dà grinta ala sdintëda
La filastrocca veniva recitata solo in dialetto. Spesso al posto dei suoi fratelli c’erano i figli:“i su burdel”, tuttavia capitava di sentire anche la versione italiana con Zucca pelata al posto della Sdentata e la frittata al posta della piada.
La sdentata fa i tortelli
E non da niente ai suoi fratelli.
I suoi fratelli fan la piada
e non danno niente alla sdentata.

CHICCHI RIVOLTA
C'era una volta
Chicchi rivolta
che rivoltava i maccheroni
e se la fece nei calzoni.
La sua mamma lo sgridò,
e lui ne fece in altro po’.
A mandarlo in paradiso,
si mangiava tutto il riso.
A mandarlo in purgatorio,
si beveva tutto l’olio.
A mandarlo all’inferno,
finalmente stava fermo.
TIRINDINA
Tirindéna pân buffet
met la cêva in te caset,
met la cêva in tla canténa
ca fasèn la tirindèna.

Come mostra la mancanza di rima veniva recitata solo in dialetto. Cosa fosse la tirindina non mi è dato sapere, il pan buffet era un pane francese molto morbido, quindi una squisitezza nell’ immaginario contadino che consumavano un pane più duro, cotto una volta alla settimana.
Tirindina pan buffet
metti la chiave nel cassetto
metti la chiave nella cantina
che facciamo la tirindina

LA CAMPANA AD SEN SIMON. (versione 1)
La campana ad Sén Simon
j era in tri chi la sunëva,
pân e vèn j guadagnëva,
j guadagnëva un për ad gapun
da purtè ai su padrun.
I su padrun in n’era a cà.
J era da la Ruséna mata
clà faşeva e pân con al zémpi de cân
e cân l’era un po’ vëcc
e u steva sêt e lêt.
E lêt l’era un po’ bas
e ui steva ânca e gat.
E gat l’era in camïsa
… e i s-ciupeva tôt dal rïsa.

Traduzione:
La campana di San Simone
erano in tre che la suonavano,
guadagnavano pane e vino,
guadagnavano un paio di capponi
da portare ai loro padroni.
I loro padroni non erano a casa.
Erano dalla Rosina matta
che faceva il pane con le zampe del cane.
Il cane era un po’ vecchio
e stava sotto il letto.
Il letto era un po’ basso
e ci stava anche il gatto.
Il gatto era in camicia
…. e scoppiavano tutti dalle risa.

Le filastrocche viaggiano e si trasformano molto. Pensi che sia originale della tua terra poi ne trovi una simile magari della parte opposta d’Italia, oppure capita che vi siano varianti anche nello stesso luogo. La versione sopra riportata proviene dalle campagne di Cusercoli e Civitella, Germana di Cusercoli invece la conosce nella seguente versione

LA CAMPANA AD SEN SIMON. (versione 2)
La campana ad Sén Simon
j era in tri chi la sunëva,
pân e vèn j guadagnëva,
j guadagnava un për ad pizun
per purtè a e su padrun.
E su padrun un gnera,
u j'era la zii Sénta
cla faseva la torta) biânca,
uj ne caschet un pezetin,
uj caschet sôt e tavlin
e tavlin l'era un pò bus
e di sotto c'era un bug,
un bug tutto forato
e di sotto c'era un prato,
un prato tutto fiorito,
con tre dame da marito:
una la cuce, una la taglia
una fa il cappel di paglia
per portarlo alla battaglia.
Una la fa il cappel di piomb
per girare tutto il momd.
Quando il mondo fu girato
il cappello fu stracciato
Interessante notare come questa versione inizi in dialetto e si concluda in italiano con qualche inflessione Sanpierana Non è un caso unico: l'italiano entrava sempre più nella cultura popolare e talvolta conviveva col dialetto nello stesso racconto o filastrocca.

Le altre filastrocche nel libro

  


3 commenti:

  1. Bella iniziativa. Complimenti. Da anni cerco nei libri, su internet una dialettica che mio nonno era solito cantarmi quando ero un po' triste.. non sono riuscita a trovarla. Iniziava così; zitta la tacheta... Se lei potesse aiutarmi. Mio nonno era originario di taglio Corelli, alfonsine. Grazie mille Cristina

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