mercoledì 5 febbraio 2014

L'UOMO NERO, ANZI NO.




Incontri notturni: l’uomo nero, anzi no  (estate ’44)
Episiodo aggiunto a "POI VENNE LA FIUMANA " dopo la pubblicazione del libro 
Dal 1936 i contadini dovevano portare il grano all’ammasso: vale a dire consegnarlo i Consorzi Agrari che ne fissavano il prezzo di vendita, trattenendo solo una parte per l’autoconsumo. Del grano rimasto presso l’azienda, una parte era accantonata per la semina autunnale: era un quantitativo consistente perché le rese agrarie in collina non erano elevate, meno della metà di quelle attuali, in quanto non si disponeva dei concimi chimici, poi le arature con buoi e mucche erano meno efficaci, infine perché si mettevano a cultura anche appezzamenti di terreno marginali in cui poteva perfino capitare che talvolta la resa fosse addirittura inferiore al seminato.
La quota di grano destinata al consumo famigliare non era subito trasformata in farina, ma tenuta in deposito presso il podere, era portata a macinare di tanto in tanto, all’occorrenza, ciò perché il grano si conservava meglio della farina, poi i mulini non avevano la potenzialità di macinare  il grano in un breve tempo, specialmente d’estate quando d'acqua per la macina ce n’era assai poca.
Naturalmente i contadini conferivano mal volentieri il grano all’ammasso, specialmente nel periodo della Repubblica Sociale quando agli evidenti motivi d'ordine economico si aggiungevano quelli politici, nell’estate del ’44 poi la Resistenza lanciò la parola d’ordine di non consegnarlo per nulla per evitare che fosse spedito in Germania. Era prassi diffusa che le aziende agricole dichiarassero un minor raccolto; per i coltivatori diretti era più facile, per quanto riguardava i mezzadri essi dovevano mettersi d’accordo col padrone del fondo, che normalmente si raggiungeva, anche quando era uno dei soggetti era filofascista, perché si sa che “gli affari sono una cosa e la politica è un’altra cosa”.
I contadini spesso per recarsi al mulino partivano nel pomeriggio in modo da raggiungerlo quando faceva buio, così da macinare il grano di notte per eludere la sorveglianza. Trascorrevano la notte presso il mulino controllando la macinazione del proprio grano. Questa era una prassi seguita anche nei momenti di normalità in quanto si voleva verificarne la resa e assicurarsi che il frumento non fosse scambiato con altro di peggior qualità. Al primo chiarore della mattina ripartivano per tornare a casa con la farina e la crusca. Il mugnaio era generalmente pagato in natura con una parte della farina ricavata.
Una volta cui era toccato a nostra madre tale incombenza, mentre attendeva nella notte il proprio turno, arrivò una staffetta ad informare che stava per arrivare una squadra della milizia fascista (GNR) a controllare il mulino. Cominciò il fuggi fuggi dei contadini. Il mugnaio si rivolse a Paolina dicendole: “ Mi dispiace signora, ma qui non potete rimanere, bisogna che andiate; l’aiutò a caricare il grano non ancora macinato sulla mula. Nostra madre gli chiese se poteva prestarle un sacchetto di farina, perché a casa non ne avevano più, gliela avrebbe restituita appena avesse potuto tornare a macinare. Il mugnaio gliela procurò.
Fare il viaggio di ritorno di notte da sola in quei tempi, per quei sentieri le procurava una forte angoscia, ma non vi erano alternative, per fortuna il cielo era sereno ed illuminato dalla luna, perciò il sentiero si riusciva a vedere; ciò che più spaventava erano i possibili incontri indesiderati di fascisti o comuni delinquenti.
Paolina, presa la mula per la cavezza, s'inoltrò per il sentiero tenendo sotto controllo la paura, se avesse potuto avrebbe fatto la strada di corsa, allora era giovane, ma la sciancata mula caricata del grano procedeva col solito immutabile passo e lei stessa procedeva a fatica in quanto si era caricata sulle spalle il bianco sacco della farina per non gravare troppo la povera bestia.
Piano piano, tesa, col cuore in gola e lo sguardo rivolto a terra per verificare dove metteva i piedi, procedeva lungo il sentiero attenta ad ogni ombra sospetta, sussultando ad ogni rumore: non vedeva l’ora di arrivare a casa.
All’improvviso una massa silenziosa e scura con un balzo felino precipitò dall’alto della scarpata fino a cadere con un gran tonfo in mezzo al sentiero, proprio a pochi passi di fronte a lei, dopo qualche istante la massa scura col chiarore della luna prese le sembianze di una sagoma umana con le braccia che si allargavano dal corpo, nella mano stringeva un mitra; pur non vedendo il volto rimasto nell’ombra s'intravedeva una lunga barba che arrivava a metà del petto. Il terrore la permeò tutta.
La scura massa umana proferì una frase: “Sposa allora volete proprio farvi uccidere …” ( Sposa, alora a vliv propri fev mazē …). La frase che potrebbe sembrare minacciosa, invece, la rincuorò perché riconobbe la voce di Duilio Piolanti, non a caso soprannominato Berba. La voce continuò: “ … ad andare in giro di notte di questi tempi con un sacchetto bianco sulle spalle; vi si può vedere e sparare da lontano”, evidentemente l’aveva riconosciuta nell’oscurità dal tipico procedere della sua bestia da soma. Lei raccontò quanto era successo al mulino. Lui prima di farla ripartire le mimetizzò il bianco sacchetto con uno straccio scuro e le raccomandò di stare attenta, perché quella notte c’era in giro della brutta gente.
Dai racconti di nostra madre mi sono fatto l’idea che le entrate in scena teatrali ben si confacevano a Duilio.

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