sabato 8 febbraio 2014

Il bisnonno Garibaldino






Il bisnonno garibaldino (1925 circa)
Tratto da "Poi venne la fiumana

Nonna Domenica era a letto ammalata. Nonno Giovanni (Muratti) si era recato nel campo vicino a casa con la figlia. Dopo un po’ di tempo chiese a Paolina di tornare a casa per vedere se la madre avesse bisogno di qualcosa e di tornare a riferire. Paolina, una bimbetta di pochi anni, si avviò, entrò in casa, si affacciò alla camera da letto e vide uno sconosciuto seduto vicino al capezzale dell’ammalata, era un uomo anziano, grande (ai bambini gli adulti sembrano tutti grandi), grossi baffoni gli ornavano il viso, ma ciò che più la colpì era che portasse un appariscente orecchino con una perla rossa. Da una cesta tenuta “ in te scòl” (sulle ginocchia) traeva, una alla volta, tante buone cose e le porgeva alla degente, esclamando ogni volta: “ Tò!, magna, che tu magnes un ròsp. Tò! Bë, che d’béss un sarpént” (Prendi! Mangia, che tu possa mangiare un rospo. Prendi! Bevi! Che tu possa bere un serpente). Paolina, rimasta non vista sulla soglia, rimase molto impressionata dalla scena e scappò via spaventata, raggiunto il padre, gli riferì con affanno il pericolo in cui si trovava la madre, e lui invece di preoccuparsi se ne uscì con una gran risata, sconcertando la bambina.
Paolina apprese poi che quello strano uomo era suo nonno. Sua madre era una trovatella data in affido famigliare a quell’uomo, piuttosto originale anche per la Romagna di quei tempi.  Nonostante il suo aspetto e il modo di esprimersi, era un uomo di buon cuore che aveva trattato quella bimba come una figlia, evento tutt’altro che scontato in quei tempi quando si prendeva in affido un bambino dall’orfanotrofio  allo scopo di incassare il sussidio statale e di avere un garzone o una serva a disposizione ed il tutto con l’aureola del benefattore. Gli orfani affidati e talvolta adottati erano definiti “i figli dell’ospedale”(sdalén), generalmente erano trattati peggio dei figli naturali, tanto che è sorta l’espressione “ Mè a chi so? E fiöl de sdel?” (Io chi sono? Il figlio dell’ospedale?) per significare: - Perché mi trattate male, perché mi discriminate? -. C’erano tuttavia i trovatelli che avevano fortuna e che, sia negli affetti sia nei diritti, entravano a pieno titolo nella nuova famiglia: questo fu il caso di nonna Domenica. Paolina raccontò che quando sua madre aveva poco più di una decina d'anni i funzionari dell’orfanotrofio di Firenze tornarono a riprenderla, ma lei non volle seguirli. Ormai aveva una casa e degli affetti, fuggì andando a nascondersi fra i boschi prendendo con sé alcune pecore per sostenersi col latte, in quanto era intenzionata a non farsi trovare. I funzionari non insistettero nelle loro intenzioni e lasciarono in affido la ragazzina ai nuovi genitori.
La nonna smise poi di portare le pecore al pascolo, perché in quegli anni circolava una banda di delinquenti comandata da un uomo monco che aveva preso di mira “le figlie dell’ospedale” violentandole e massacrandole con particolare efferatezza, quindi non fu più mandata via da sola.
Nostra madre raccontava anche che quando sua madre fu abbandonata, aveva indosso vestitini di ricca fattura segno che provenivano da un ambiente altolocato del capoluogo Toscano; ma queste affermazioni si facevano per la gran parte dei bambini abbandonati, probabilmente nascevano dal desiderio di questi di essere i figli naturali di persone importanti e ricche per compensare le quotidiane discriminazioni.
Lo strano nonno li andò a trovare altre volte, portando sempre qualcosa di buono e si affezionò a Paolina; la prendeva in braccio e la chiamava affettuosamente con la leggiadra espressione: “La mi muraza” (La mia moraccia). Le promise che quando sarebbe morto le avrebbe lasciato in eredità il bell’orecchino d’oro con la perla rossa, che si era messo quando da giovane era partito per andare a combattere con Garibaldi. Paolina non ricevette mai l’orecchino del nonno e se ne dispiaceva ancora dopo decenni: quello era suo, era un regalo del nonno garibaldino, non averlo ricevuto rimase un grande rimpianto della sua vita.
I modi del nonno garibaldino possono oggi sembrare sconcertanti, ma non era così nella Romagna di quei tempi. Nella mia infanzia era abbastanza diffuso sentire qualcuno rivolgersi in modo affettuoso ad un altro col termine “brót ròsp”(brutto rospo), d’altronde i bambini in alcune zone della Romagna sono chiamati ancor oggi “bastêrd”.
Nemmeno venti anni dopo anche Paolina sarebbe stata una “garibaldina” nelle brigate partigiane. Qualcuno afferma che c’è un salto generazionale e che i bambini assomigliano non ai genitori bensì ai nonni. Chissà?

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