mercoledì 5 marzo 2014

Mulino Mengozzi a Fiumicello



 "Mezzo franco di Farina"
Tratto dal libro di prossima pubblicazione. 
"PREDAPPIO: cronache di una comunità viva e solidale"

Parte curata da Rolando Pasini
Tramite don Tamburini, in quel periodo, Ferlini ha poi conosciuto e preso contatti con don Giuseppe Biondi, parroco di Fiumicello di Premilcuore, con il quale ha avuto dei rapporti di collaborazione e di reciproco rispetto. Fiumicello di Premilcuore, che oggi è un piccolo borgo di montagna, sulla statale per la Toscana, sei chilometri dopo Premilcuore, con alcune decine di abitanti, a quel tempo contava circa cinquecento abitanti ed era collegato a Premilcuore da una strada sterrata che costeggiava il fiume. Don Giuseppe Biondi, 40 anni d'età, di Premilcuore dove conosceva tutti e aveva contatti con tante persone, in più occasioni ha trasmesso notizie e messaggi da recapitare ai partigiani di Ferlini o ai loro famigliari ed è stato l’intermediario degli accordi per la macinazione del grano e l'approvvigionamento della farina per i partigiani presso il mulino di Ferdinando Mengozzi a Fiumicello.
Mezzo franco di farina (Mez frénc ad faréna)
Con la mediazione di don Giuseppe Biondi, Ferlini aveva contrattato l'acquisto della farina per fare il pane con Ferdinando Mengozzi il mugnaio di Fiumicello. Secondo gli accordi i partigiani o qualche contadino di Montalto andavano a ritirare la farina al mulino presentando una metà di una banconota da un franco tagliata in due al mugnaio che aveva l'altra metà con i numeri di serie della banconota corrispondenti. La farina veniva poi consegnata ad alcune famiglie contadine di Montalto che facevano il pane per se stesse e per i partigiani. Si specifica che nella parlata romagnola la lira era comunemente chiamata “franco”(frénc), le cinque lire invece erano uno scudo, le cento lire venti scudi, le cinquecento lire erano cento scudi, poi si tornava ai franchi.
Una testimonianza, seppure parziale ed indiretta, di alcuni di questi episodi raccontatimi da mio zio Giuseppe Ferlini, l’ho avuta una domenica d’agosto del 2013, quando sono stato “a fare un giro” a Fiumicello di Premilcuore e, accompagnato dall’amico Angelo Galletti, sono andato al mulino di Fiumicello per parlare con Sesto Mengozzi, l’attuale proprietario del mulino. Lungo il sentiero che porta al mulino e al mulino stesso ci sono delle belle sculture scolpite direttamente sulla roccia o ricavate dalla pietra serena, l’arenaria tipica dell’Appennino tosco-romagnolo, dal fratello Domenico Mengozzi, scomparso di recente, che viveva lì ed era artista scultore per hobby. Sesto Mengozzi, un signore di 76 anni, ben portati, è il figlio più giovane di Ferdinando Mengozzi che gestiva il mulino al tempo della guerra. Sesto conserva il mulino perfettamente funzionante e lo attiva, a scopo turistico, per i numerosi visitatori che al sabato e alla domenica, in estate, vanno a godersi il fresco a Fiumicello e, a scopo didattico, per le scolaresche che su appuntamento lo vogliono visitare per vedere come si macinava il grano per fare la farina fino a pochi decenni fa. Nel 1943-44 Sesto aveva solo 7-8 anni d’età ma ha ricordato alcuni fatti di quel periodo raccontati da suo padre Ferdinando e da altre persone più avanti negli anni.
Don Giuseppe Biondi in più di un’occasione era stato sospettato e accusato dalla milizia fascista di Premilcuore di collaborazionismo con i partigiani e per questo aveva subito intimidazioni e minacce e veniva tenuto sotto controllo dai fascisti. In particolare era stato sospettato e tenuto, con altre persone, in ostaggio, sotto la minaccia dei fucili, per un intero giorno per essere intervenuto a Cartel dell’Alpe, un borgo a sei - sette chilometri da Fiumicello, per rimuovere e ricomporre i corpi di due fascisti giustiziati dai partigiani in quel luogo per i loro crimini e soprusi sulla popolazione. Lui e le altre persone erano sospettati di saper qualcosa per essere stati trovati sul posto e per aver intralciato le indagini e manomesso delle prove con la rimozione dei cadaveri. Comunque, dopo un giorno, don Giuseppe fu rilasciato; lui, dopotutto, era accorso e intervenuto per benedire le salme!
Sesto Mengozzi ha poi spiegato che, durante la guerra, la produzione della farina nei mulini era razionata e veniva controllata da funzionari del regime fascista che toglievano i sigilli al mattino e li mettevano alla sera, all’inizio e alla fine della macinazione del grano e stavano lì, a sorvegliare, tutto il giorno.
Al mulino di Fiumicello c’era un funzionario, un fascista di Premilcuore che “credeva molto nel partito”, un po’ troppo zelante e rigoroso e i contadini si lamentavano perché la farina che ricevevano dalla macinazione del grano non “bastava”. Ci volle una sortita al mulino ed un incontro con il funzionario fascista di tre partigiani di Ferlini, a conclusione del quale i partigiani lo salutarono col dirgli che “se fossero dovuti tornare un’altra volta, allora non avrebbero solo parlato con lui”, per ammorbidire e indurre il funzionario a “non vedere” alcune cose. Infatti, dopo quell’incontro si rivolse a Ferdinando, il mugnaio, dicendogli: «Vedi un po’ tu cosa puoi fare» e lasciandogli una certa autonomia. E ci fu più farina per i contadini di quelle zone di montagna e per i partigiani. Per i partigiani, che stazionavano nella zona di Montalto e sulle montagne attorno a Premilcuore era abbastanza agevole spostarsi sui crinali dei monti, scendere a Fiumicello e raggiungere il mulino ed eludere così la presenza della milizia fascista di Premilcuore e la sorveglianza ai mulini senz’altro più intensa e pericolosa a Premilcuore e dintorni.
Sesto, che abita a S. Martino in Strada, mi ha anche riferito di aver lì conosciuto un ex partigiano che gli ha raccontato come fosse stato indirizzato e fosse arrivato da Ferlini, in montagna, per combattere con i partigiani. Giunto nella zona di Montalto lui chiedeva di Ferlini ma nessuno sapeva e gli diceva niente fino a quando è stato Ferlini a farsi vivo e a contattarlo. Questo spiega la prudenza con cui Ferlini si muoveva e la collaborazione che aveva con gli abitanti di Montalto. Dopo la nostra cordiale chiacchierata Sesto ha messo in funzione e ha mostrato ad alcuni turisti, che si erano lì radunati, il suo mulino, con le macine originarie, con la ruota con le pale in legno spinta dalla caduta dell’acqua e una piccola turbina con la dinamo per la produzione di energia elettrica. Ci ha fatto vedere le sculture esposte al mulino di suo fratello Domenico e prima di salutarci mi ha dato un mezzo chilo di farina del grano che aveva appena macinato. Come detto, alcune cose raccontate da Sesto Mengozzi confermano in parte la collaborazione tra Ferlini e don Giuseppe Biondi e la storia del “mezzo franco di farina”.
















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