martedì 18 agosto 2015

HORROR: Un mignolo per due

Questo racconto l'ho trovato per caso nel computer, non ricordavo nemmeno di averlo scritto, probabilmente l'ho pensato dopo una ispezione ad uno stabilimento per la produzione dei bigatti da pesca (larve di mosa carnaria) e guardando il trituratore dei polli morti avrò pensato: "Se ci prende , ci trita non ci troverà mai più nessuno". Ma i titolari erano buone persone costrette per campare ad un lavoraccio (il più brutto che abbia mai visto) e sono ancora qua.




COLLANA  HORROR URCA
(Ogni riferimento a fatti e personaggi reali è puramente causale).

UN MIGNOLO PER DUE


ANTEFATTO
 Il mese di febbraio era stato tremendo; un gelo polare ed una enorme coltre di neve avevano congelata la vita. Si viveva in uno stato di semi ibernazione, rintanati come istrici chiusi nella propria tana sotto metri di neve. Ogni sforzo era riservato a mantenere sgombra lapertura del proprio rifugio e a maledire il Comune che non la sgombrava dalla neve.
Verso la fine del mese la situazione mutò repentinamente. La temperatura si era alzata, un luminoso sole era apparso, la neve si scioglieva velocemente e scorreva per mille rivoli. Anche la vita sociale riprendeva a pieno ritmo, e scorreva fra ingorghi di traffico, e cumuli di neve nerastra simile ad enormi cacche di dinosauri; ognuno usciva dalla propria tana e si rigettava nellagone.
Anche lURCA (Unità Regionale Controlli Ambientali) riprese i sopralluoghi ed ai primi di marzo ne programmò uno presso la ditta Il Bigattinocollocata in un aspro, franoso e ventoso vallone del Monte Spaventa. Era da un po’ di tempo che si doveva andare a controllare il luogo, ma prima era stato umanamente impossibile, ed anche per il giorno programmato, non vi era la certezza che si potesse raggiungere il luogo: in pianura la neve si era in gran parte sciolta, le strade erano sgombre, ma quale sarebbe stata la situazione lassù “dal luogo ove spiccano i baleni”, in cima a quello spaventoso monte? Non era da escludere che non si potesse proseguire oltre ad un certo punto o di uscire fuori strada cadendo in un burrone per essere poi ritrovati chissà quanto tempo dopo.
Ma era necessario eseguire un sopralluogo, perché pur sotto la pesante coltre di neve erano giunte voci, di strane e misteriose pratiche che si svolgevano in tale località, collocata fuori dal mondo.
Partirono in due operatori: Ciro Frammenti. ed Angelo Cherubini. Forse mandare loro in quel tetro luogo ed aspro territorio fu una leggerezza, in quanto erano persone di grande volontà, ma delicate ed ingenue, erano dei “cittadini”, poco avvezzi alla dura lotta per la sopravvivenza che si svolgeva in quelle remote lande. La ditta “il Bigattino” svolgeva poi una attività del tutto particolare, raccoglieva carogne animali che poi triturava ed usava come alimento per le larve della mosca carnaria che poi rivendeva a pescatori.
Era la fabbrica della morte, della decomposizione, della putrefazione, dell’abbrutimento: lavorare in un ambiente simile avrebbe indurito anche il cuore a San Francesco. Quando lavori a diretto contatto con la morte te ne innamori e la sua attrazione diventa fatale.
Gli operatori dell’URCA partirono con l’animo confuso in un misto d’incoscienza ed apprensione.
Verso le ore 10 di quella mattina arrivò alla sede provinciale dell’URCA una confusa comunicazione telefonica in cui i nostri temerari operatori chiedevano aiuto. Fu prontamente organizzata una squadra di soccorso composta da due provati e rudi montanari, veterani del mestiere, gli operatori Miro Palmi e Celso Dumaroni.
Per il proseguo leggiamo la relazione di sopralluogo scritta dalla squadra inviata in soccorso.

RELAZIONE DI SOPRALLUOGO.
“In data 1 marzo 20…(omissis) i sottoscritti Miro Palmi e Celso Dumaroni a seguito di una telefonata giunta in mattinata presso la sede dell’URCA si attivavano immediatamente per prestare soccorso ai colleghi Ciro Frammenti e Angelo Cherubini che si erano recati presso l’Az. “Il Bigatto” sita in Comune di Villa Inferno, Loc. Monte Spaventa, Podere denominato la Gramigna.
Giunti sul luogo, dopo aver percorso i tornanti di una scivolosa ed accidentata strada, posta fra dirupi spaventosi, ci è venuto incontro il sig. Nöss Sferati di nazionalità Transilvana, che si qualificò come titolare dell’azienda. Chiesta notizia dei nostri colleghi questi, con fare molto guardingo, arcigno e sospettoso, con uno sciame di mosche nere scure grasse che gli ronzava attorno, affermava con sguardo torvo e voce cavernosa, di non aver visto nessuno, che erano parecchie settimane che nessun estraneo si vedeva in quei paraggi. Data un’occhiata nei dintorni non si è notata la presenza dei colleghi ne quella della loro auto.
Valutata la situazione e lo stato di estremo isolamento, abbiamo ritenuto opportuno assumere un atteggiamento tranquillizzate, ed abbiamo dichiarato che probabilmente ci eravamo sbagliati, anzi sicuramente ci eravamo sbagliati ed abbiamo cambiato discorso cominciando a parlare dei danni della recente nevicata e chiesto se le larve avessero sofferto a causa della recente ondata di gelo. L’atteggiamento del nostro interlocutore si è poco alla volta addolcito, ha cominciato ha parlare dei problemi causati dalla tempesta di neve mostrandoci i danni subiti ; in tal modo si è cominciato a ispezionare lo stabilimento, buttando l’occhio, nel modo più indifferente possibile, ovunque per trovare indizi che confermassero la presenza in quel luogo dei nostri colleghi.
La nostra attenzione è stata attratta dal macchinario che macina le carcasse degli animali per poi usarle per l’alimentazione delle larve della mosca carnaria, l’occhio è caduto su un mucchietto di carniccio caduto ai lati del trituratore ed in particole su un pezzo che pareva un dito umano, ma era difficile dirlo con certezza perché non si poteva osservarlo da vicino ed attentamente senza destare sospetti. Mentre un operatore distraeva il titolare, che con tono sinceramente commosso gli raccontava della sofferenze che avevano subito i poveri bigattini a causa del freddo e della impossibilità di far giungere  loro il cibo necessario, l’altro facendo finta di legarsi una scarpa raccoglieva quello che sembrava essere un dito e velocemente lo riponeva in tasca.
Sospettando della tragedia che poteva essere avvenuta poc’anzi e nel timore che potesse ripetersi sulle nostre persone, abbiamo cercato di allontanarsi al più presto da quel nefasto luogo. Mostrando estrema indifferenza, nonostante che la paura facesse novanta, dopo aver di nuovo rabbonito il titolare dichiarando che tutto era regolare, che la sua era proprio una bella azienda, degna di stare sul mercato  ed anche di essere quotata in borsa ed aver aggiunto che bisognava conferirgli una medaglia per la importante attività che svolgeva, anche se purtroppo in tanti per ignoranza non ne apprezzavano appieno l’importanza.
Finalmente siamo riusciti a ripartire: vincendo la tentazione di fuggire a gambe levate, abbiamo percorso il tratto fino alla nostra auto lentamente, ed altrettanto lentamente abbiamo percorso il tratto di strada fino alla curva; svoltata la quale abbiamo pigiato l’acceleratore al massimo, rischiato di finire più volte fuori strada. Dopo molti chilometri, verificato che nessuno ci seguiva ci siamo fermati in una radura e fattoci coraggio, abbiamo guardato ciò che ci era sembrato un dito ed abbiamo avuto la tremenda conferma: era un mignolo umano. Compresa la tragedia umana accorsa solo poche ore prima abbiamo alzato lo sguardo, notando solo allora che ci eravamo fermati sotto un mandorlo in fiore, il contrasto vita e morte ci ha colpito assai. Ma non avevamo tempo per contemplazioni filosofiche e poetiche. Nonostante fossimo comprensibilmente sconvolti, abbiamo proceduto a mettere il nostro “prelievo” in un sacchetto di polietilene, l’abbiamo debitamente piombato e munito di cartellino identificatore e codice a barre l’abbiamo messo nel frigorifero portatile garantendogli una temperatura di 5°, rispettando in tal modo tutte le modalità impartite dalla disposizione operativa N. 15 M.0- RT 001 – 2 pal”.


EPILOGO.
Dei due eroici e sfortunati tecnici di vigilanza Ciro e Angelo non si trovarono altre tracce, altri pezzi non furono identificati, nonostante l’approfondita ricerca nel carniccio tritato, evidentemente una volta tritati tecnici ambientali ed i polli sono indistinguibili. Non c’era altro da fare che accettare la realtà: i nostri colleghi erano giunti a pezzi fra gli angeli.
Alle due vedove non rimase che un solo dito. Non si riuscì ad identificare a chi appartenesse , ma forse non lo si fece di proposito per non negare ad una delle due infelici una tomba su cui piangere e pregare. Si discusse a lungo se dividere in dito in due parti ma poi si scelse di seppellirlo in una unica tomba con apposte due lapide. Scartata decisamente, perché considerata di cattivo gusto, fu invece la proposta di integrare i poveri resti mortali degli sventurati con le creature che grazie essi si erano sviluppate.
Fallì anche tentativo di assegnare una pensione alle due vedove, il Ministero rispose che non era possibile perché i due operatori mica erano morti in una missione di pace, come provava il fatto che nemmeno avevano con se un fucile.
Tuttavia non tutto era perduto, vi fu anche un risvolto positivo, l’auto scomparsa fu ritrovata in un capannone della azienda, sepolta dal carniccio esausto, ci volle molto tempo a pulirla e deodorarla ma poi tornò come nuova.

MIRO VLAD

5 marzo 2012
 

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