domenica 9 agosto 2015

JACMIN di Castelluccio

 Jacmin
(Giacomino)
Giacomo Castellucci
di Castelluccio - Santa Sofia


 Iacmin in un dipinto di Buscherini posto all'ingresso dell'ospedale di Santa Sofia
( Baibino sta per balbuziente, si è italianizzato il termine dialettale "baibén")

Jacmin è uno dei tanti personaggi caratteristici del nostro Appennino.
Viveva a Castelluccio che è un piccolo agglomerato di due-tre case posto in cima ad un cucuzzolo, in una zona posta fra Spinello e Civorio. Viveva “come poteva” raccogliendo stracci e pelli di coniglio e facendo ogni tanto qualche “cotta di carbone”.
Morì nel “ricovero per vecchi”di Santa Sofia, nonostante l’indiscutibile miglioramento delle proprie condizioni materiali, ci stava mal volentieri, aveva nostalgia delle sue montagne della sua vita libera e  ad ogni occasione scappava per tornare alla “casa vecchia con le ragnatele al posto dei vetri nelle finestre, e la porta tenuta da un palo”.
Iacmin era ed è generalmente giudicato un sempliciotto, un divertente pör sgraziè, che indulgeva nel bere, man mano che approfondisco le informazioni su di lui scopro anche altre caratteristiche: aveva un repertorio di filastrocche e storielle che amava raccontare ai bambini, e nei suoi “commerci” non era uno sprovveduto, è lui che “frega” i commercianti del carbone, e un mio conoscente che all’epoca abitava in zona mi ha raccontato che i ragazzini a cui generalmente le famiglie lasciano la raccolta e la vendita di stracci, pelli e ferrovecchio come paghetta, hanno cercato più volte di fregarlo sul peso occultando stracci fra i panni, ma non ci sono mai riusciti.
La gran parte delle informazioni che ho su Iacmin mi proviene da una ricerca fatta dai bambini della scuola pluriclasse rurale di Chiantra ed in particolare da Colomba un'alunna che abitava in te “Mulén ad Cèntra”, (Oggi nella cartografia chiamata Chianetra per un errore de cartografo) luogo dove Iacmin passava per tornare a Castelluccio,  poi con la famiglia di Capacci Colomba c’era una lontana parentela e siccome colomba è mia cugina significa che anche io ho una lontana parentela con Iacmin.


Tratto da “ A so muntanera  perchè a stag in l’Eipa". Elaborato degli alunni della scuola elementare di Chiantra anno 1969 -70, pubblicato in appendice al libro: CERA UN VOLTA ...anzi appena ieri" di Palmiro Capacci
 In Copertina del dattoloscritto Iacmin attorniato dai bambini che ascoltano le sue "storie".

Alcune filastrocche che abbiamo trascritto nel nostro giornalino, ci sono state dette da Giacomino.
E’ un uomo di bassa statura e molto grosso, che abita in una casa vecchia con le ragnatele al posto dei vetri nelle finestre, e la porta tenuta da un palo.
Per guadagnarsi da vivere, ogni tanto fa qualche cotta di carbone oppure va in giro a raccogliere stracci e pelli di coniglio da rivendere.
Va spesso a S. Sofia e, quando ritorna, racconta di aver visto tante donne e di averle fatte divertire.
Ci divertiamo tanto anche noi a sentirlo parlare, perché balbetta.
Prima di riuscire a tirar fuori una parola, si da tre o quattro manate sulle ginocchia.
Quanto sta per attivare, si sente da lontano: av ... av ... av ... av ... a vegn.
Entra in casa si siede e comincia a raccontare:
- A ... a ... al savì ccc’a sssso st ... st ... ssste a Ssss... santa  ... Sfia, aaaa ... iò vvvest dal ddddoni b ... bbb ... bleni, a lllli ho t ... tt ... ttochi, llllin rr ... raaagneva mmmiga!
- Valà, valà Jacmìn.
- Sssse, sssse!
In testa porta sempre un vecchio cappello; per non correre il rischio di perderlo, lo tiene fermo con un elastico che fa passare sotto la gola.
( Colomba )

(Traduzione di Giacomino:  Lo sapete che sono stato a S. Sofia, ho visto delle belle donne, le ho toccate e non litigavano mica. / Va là, va là Giacomino / si, si”.)

SI RIMANDA AL LIBRO PER ALTRI ANEDDOTI SI JACMIN
FOTO DI JACMIN

 Il pranzo di Jacmin col suo fratello nella loro abitazione a Castelluccio.



Tratto dal libro: "Spinello tra storia e cronaca" di Luciano Foglietta edito dalla Pro loco.
Addio "Jakmén": piccolo balbuziente. (Anno 1990).

A Santa Sofia si sono svolti i funerali di Giacomo Castellucci ]akmén d'Spinèl o, anche, e Bajbén (il piccolo balbuziente). Nelle medie ed alte valli del Savio, del Borello e del Bidente lo conosce­vano proprio tutti. Per oltre sessant'anni aveva setacciato le mon­tagne a comprar stracci, ossa, ferro vecchio, lana, pelli di coniglio. In primavera raccoglieva erbe e piante officinali. Quando il sacco era pieno scendeva a valle dalla sua stamberga, castluz, per riven­dere la sua merce ai grossisti.
Madre natura era stata avara con Jakmén. Oltretutto la sua bal­buzie era proprio elevata all'ennesima potenza. Per poter giungere alla fine di ogni parola, quel povero Cristo era costretto ad alzare la corta gambetta. Stirava e contraeva l'arto come fosse una pompa a stantuffo, quasi che quel movimento l'aiutasse a farsi uscire dalla strozza le stentate consonanti e le sibilanti vocali. Da almeno un lustro aveva dovuto lasciare la vita errabonda di sempre e optare per la Casa di riposo.
Non era stato facile, per lui, adattarsi a quella vita sedentaria. Un paio di volte era « evaso » per tornare al suo vuoto e decrepito casolare, un rudere che s'erge sopra uno sperone roccioso, tra le forre che digradano verso il letto del fiume Borello. Buttava alle ortiche cibi caldi, un letto con le lenzuola di bucato, la luce elettri­ca, il termosifone, per tornare al pane raffermo, all'acqua dei fossi, alle stalle, ai fienili, agli androni pieni di spifferi che sceglieva di volta in volta come albergo per la notte quando errava qua e là con il sacco sulla spalla.
Ora Jakmén ha fatto il gran passo e siamo sicuri che, interrogato da S. Pietro, la sua lingua sarà spedita.. Otterrà certamente il « pass » se non per il paradiso almeno per il purgatorio. Perla legge del contrappasso (e poiché non ha commesso errori troppo gravi i suoi stenti terreni saranno infatti ripianati con l’eterna felicità dell’empireo.

                         FOTO DI CASTELLUCCIO
 Catelluccio nel 1955

 I ruderi di Castelluccio


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